martedì 26 agosto 2014

LONDRA – Se c’erano ancora dubbi sulla gravità della crisi che minaccia il futuro dell’euro – e potenzialmente della stessa Unione Europea – l’annuncio shock della crisi di governo in Francia dovrebbe metterli a tacere.

Le tensioni all’interno del governo socialista francese sono andate crescendo per mesi, mentre l’economia minacciava una doppia recessione. Ma è stata la critica pubblica da parte del ministro dell’economia francese, Arnaud Montebourg, sull’accettazione da parte di Parigi dell’austerità imposta dall’eurozona, che ha portato il presidente Hollande a chiedere la formazione di un nuovo governo.

L’ironia è che alcuni dei timori espressi da Montebourg circa l’economia francese che si avvia alla deflazione sono stati espressi anche dal presidente della Banca centrale europea (BCE), Mario Draghi, in un importante ma poco noto discorso tenuto venerdì sera negli Stati Uniti. Draghi non ha nascosto la sua crescente preoccupazione per la stagnazione dell’economia dell’eurozona e il mancato stimolo alla domanda da parte dei paesi in grado di farlo. Questo è un messaggio abbastanza ovvio per la Germania.

Si può presumere che – sotto le direttive del presidente Hollande – il primo ministro francese, Manuel Valls, proporrà debitamente  un nuovo governo, depurato dai dissidenti. Ma sarebbe molto sorprendente se lo stesso dibattito innescato da Montebourg non tornasse molto presto a perseguitare i responsabili politici francesi. Ma quel che è nuovo, e potenzialmente molto preoccupante, è la prospettiva che il tempo a disposizione del governo francese per evitare il disastro – e il tempo di tutta l’eurozona nel suo insieme – si stia rapidamente esaurendo.

Draghi e la BCE vogliono chiaramente agire rapidamente per ammorbidire ulteriormente la politica monetaria, possibilmente includendo gli acquisti su larga scala di debito pubblico e privato. Ma tempi per farlo non sono interamente nelle mani della BCE, ed è ancora possibile che il governo di Berlino – sotto la pressione della Bundesbank – punti i piedi. Né vi è molto entusiasmo a Berlino sull’adozione di misure fiscali per stimolare la domanda in tutta l’eurozona.

Il pericolo è che se la zona euro dovesse scivolare sempre più in una deflazione vera e propria, diventerà ancora più difficile invertire la tendenza economica. Sotto la superficie, tuttavia, il dibattito potrebbe centrarsi sulla scala dell’azione da intraprendere, per timore che la scelta possa diventare o salvare l’euro o salvare la stessa UE. All’interno della coalizione della Merkel, aumentano le pressioni  per un cambio di direzione economica al fine di evitare una catastrofe, non solo economica, ma anche politica, sull’integrazione europea.

Questa presunta “nuova direzione” non solo deve includere un QE di emergenza da parte della BCE, ma anche uno stimolo alla domanda da parte dei governi, eventualmente accompagnato dalla parziale temporanea sospensione di alcune delle regole della zona euro su deficit e inflazione. Ma è pure essenziale il massimo dispiegamento delle capacità complessive della UE di finanziare una sorta di “New Deal”, guidato da un massiccio aumento degli investimenti sull’energia, i trasporti, l’ambiente e le infrastrutture sociali.

E’ una direzione che lo stesso presidente Hollande sarebbe ben felice di sostenere, se solo potesse mantenere la facciata di un’incontrastata autorità di governo e di continuità della strategia di Parigi. Sarà un trucco difficile da attuare, per lui. Anche il governo italiano guidato da Matteo Renzi è consapevole del fatto che la sua luna di miele politica sta volgendo al termine, e sta conducendo una campagna, appena dissimulata, per un cambio di strategia nell’eurozona.

Quando il gioco si fa duro, nei conclavi delle riunioni ministeriali dell’eurozona potrebbe formarsi una chiara maggioranza favorevole a politiche nuove da realizzare con urgenza. Perfino in Finlandia, tradizionale alleato della Germania sulla linea dura dell’austerità, si sentono nuove voci che mettono in guardia sull’imminente catastrofe economica.

La Merkel cederà alle pressioni per una nuova iniziativa nell’eurozona? Sarebbe sorprendente se non lo facesse. Più di ogni altro governo dell’UE, la Germania sa fin troppo bene quello che potrebbe seguire la disintegrazione dell’euro. La sopravvivenza dell’integrazione europea potrebbe essere in gioco. Gli eventi in Ucraina e altrove mostrano un promemoria riguardo il prezzo che un’Europa debole e disunita potrebbe ora pagare per un errore di calcolo economico.

Autore dell’articolo: John Palmer per The Guardian – Londra.

Traduzione: Voci dall’Estero – che ringraziamo.

link originale: www.theguardian.com/commentisfree/2014/aug/25/objections-austerity-french-government-france-eurozone

tratto da: (clicca qui)

 

2014.08.27 – Francia: e se il fronte nazionale va al governo ? Ecco gli scenari

tratto da: (clicca qui)

DI GUILLAME FAYE

gfaye.com

Immaginiamo che nel 2017, o anche prima se il governo socialista dovesse cadere, il F.N. andasse al potere, con Marine Le Pen all’Eliseo e che, nella volata delle elezioni legislative prendesse la maggioranza grazie ad un’alleanza con i frontisti e con i parlamentari “di destra” di una fazione dell’ UMP che si potrebbe spaccare dopo una grave crisi, ma potrebbe allearsi anche con qualche forza di sinistra.

È molto improbabile, ma non si sa mai.

 

Facciamo una analisi di questa ipotesi e dei tre scenari che ne potrebbero scaturire:

1) Un fallimento totale.

2) Un successo parziale.

3) Un Terremoto e l’inizio di un processo rivoluzionario.

Un Fallimento Totale

Le idee economiche del FN, hanno le stesse basi su cui poggiavano quelle dei primi socialisti (basate sulla strategia della domanda e non dell’offerta, sul rifiuto di una disciplina fiscale, sul mantenimento di uno stato sociale e di una economia amministrata utilizzando il 57% del PIL per la spesa pubblica, tassazione e oneri vari altissimi, funzione pubblica rigonfia, corporativismo generalizzato, ecc…), un FN al potere applicherebbe un programma economico statalista e prodigo nella spesa. Avevano criticato la politica del “UMPS” definendola a torto come “ultra-liberale”, quando in realtà era collettivista. La nuova maggioranza dovrebbe mettere in atto lo stesso tipo di politica, se non peggiore. Il FN non ha capito che ci sarebbe stato bisogno di uno shock alla Schroeder (Agenda 2010) o alla Cameron per rilanciare crescita e occupazione. Succede un disastro: le stesse cause producono gli stessi effetti, la disoccupazione continua a crescere, i deficit si allargano, le industrie delocalizzano, la linfa vitale fugge all’estero, il debito pubblico esplode. Il tasso sui prestiti al mercato supera il 5%.

Per aggravare di più la situazione, interpretando a modo suo le regole europee, Marine LePen litiga con la Germania, apre una grave crisi all’interno dell’Unione Europea, e decide una uscita frettolosa e improvvisa dall’Euro, ritornando al Neo-Franco. Risultato: il valore dei risparmi dei francesi precipita, i loro beni anche, perché il Nuovo Franco perde rapidamente valore nel mercato dei cambi; l’effetto stimolante sulle esportazioni che dovrebbe provocare la massiccia svalutazione del Nuovo Franco non avviene, per effetto delle importazioni a prezzi più alti che spesso sono negoziate in euro o in dollari, quindi la svalutazione di fatto non ha compensato la mancanza di competitività delle imprese francesi. Senza contare la rivalorizzazione del peso del debito, che bisogna pagare in euro, e il costo che devono affrontare le imprese per impostare la nuova contabilità . E ‘una catastrofe.

Il nuovo governo ha invocato le clausole di emergenza per uscire temporaneamente dall’area Schengen e per ripristinare i controlli alle frontiere. Ma, come tutti i suoi predecessori, la realtà viene affrontata con la stessa mancanza di coraggio, le misure prese sono timide e senza risultati probanti sui flussi migratori, nonostante gli effetti che provocano gli annunci di queste misure puramente simboliche che, in questo modo, riecono solo a scandalizzare i benpensanti: diminuisce l’ AME ( assistenza medica) per gli immigrati clandestini e aumentano le espulsioni.

Allo stesso modo, le misure approvate per rivedere la legge Taubira, e rafforzare la lotta contro la criminalità, per rinforzare il “laicismo” contro l’invasione dell’ Islam e ritornare alla Cultura Nazionale, per ripristinare il bilancio della difesa, ecc…  sarebbero tutte misure insufficienti. Il governo dominato dal FN (che ha lottato per tenere per sé il massimo delle responsabilità) continua ad intensificare le sue battute d’arresto per paura che tutto prenda fuoco, per paura di uno scontro frontale. Senza audacia, non si può vincere. Le mezze misure non servono a niente. Continuano senza sosta i disordini etnici. Gli elettori che hanno votato per la nuova maggioranza sono delusi e confusi. Non cambia niente e, anzi, tutto va ancora peggio.

La nuova maggioranza, dominata dal FN non riesce ad attirare su di sé nessuna critica positiva da parte di chi conta, sia nel governo che negli uffici ministeriali o in parlamento. Sia i neofiti che i vecchi parlamentari sono paralizzati da una amministrazione ostile, tutti i nuovi leader sono una pena. Inoltre, in seno alla maggioranza si sta creando una fronda di rottura. Ogni fazione ha una propria idea, liberali, socialisti e nazionalisti neo-gollisti, il “canale storico”. Per farla breve, non c’è più una maggioranza e la situazione diventa incontrollabile. Diciotto mesi dopo la sua elezione all’Eliseo, Marine Le Pen scioglie l’Assemblea Nazionale.

Essendo stato reintrodotto il sistema semi-proporzionale contro il voto di maggioranza, la nuova assemblea è un caleidoscopio senza una maggioranza chiara. Il Fronte Nazionale stesso è scoppiato e si è diviso in diverse correnti. Di fronte a una situazione da Terza e Quarta Repubblica, la gentile ospite dell’ Elysee rinuncia a formare un governo; getta la spugna e se ne va. La vittoria del FN nel 2017 sarà stata una cometa. La Francia è sprofondata ancora un pò di più nelle sabbie mobili.

Un mezzo-successo

Il nuovo governo ha ripensato il suo programma di “uscita dall’Euro” e di ripristino del Franco, rimandando il programma a tempo indeterminato. Troppo complicato, troppo rischioso, troppo costoso. Il presidente Le Pen ha finalmente capito che una uscita dall’euro significherebbe il raddoppio di un debito pubblico ancora legato all’ euro, ma anche una drammatica svalutazione di tutti i risparmi e una crisi bancaria ingestibile. La Germania e Bruxelles hanno detto :” Prego da questa parte, andare avanti voi, e noi arriveremo dopo!”  Il Presidente Le Pen ha tenuto un discorso del quale si è avuta una doppia interpretazione: Certo che usciremo fuori dall’euro, ma più tardi. E l’effetto che questo discorso ha avuto è stata una immediata sfiducia dei mercati e di tutti i partner della Francia.

Come abbiamo accennato già nello scenario precedente, la politica economica della nuova maggioranza, non essendo riuscita a rompere con le teorie del social-statalismo, non è riuscita a fermare la recessione, né, ovviamente, a ridurre la disoccupazione. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati innegabili in altre aree, dove il governo ha tenuto duro, malgrado le tante le proteste, le intimidazioni dei sindacati e di qualsiasi altra natura: l’immigrazione clandestina è stata quasi fermata, sia per la chiusura delle frontiere che per il blocco degli alti sussidi erogati per gli affitti. Le espulsioni dei ” sans-papier” – dei clandestini – sono diventate più facili e si stanno moltiplicando. L’abrogazione delle leggi sulle riduzioni di pena e l’inasprimento della politica penale stanno fermando la crescente insicurezza e la criminalità, ma non riescono ancora a sconfiggerli né definitivamente né in parte.

Le riforme per riprendere in mano il controllo della Pubblica Istruzione, che sta andando in rovina, sono iniziate con una energia a dir poco moderata. L’inasprimento della “laicità” in effetti funziona per cercare di contrastare l’islamizzazione. Marine Le Pen pensa che ci si dovrebbe andare piano, con dolcezza, malgrado l’impazienza di molti. Ha paura di uno scontro, di manifestazioni esagerate, di tumulti da parte di tutte le forze della sinistra e di tutti gli quelli che si fanno trascinare dai venti che spirano contro di lei. Tanto che la “comunicazione” degli organi di governo, il potere simbolico della parola, è molto più forte rispetto ai risultati veramente ottenuto.

Tuttavia, pur tra tante insofferenze, la maggioranza tiene. Fino a quando? Marine Le Pen, diciotto mesi dopo la sua elezione, è preoccupata: i sondaggi effettuati nella Francia più profonda indicano che la sua base elettorale è impaziente. I risultati sono scarsi e le promesse di un rovesciamento della situazione tardano a venire. Gli editorialisti più sarcastici la paragonano a Sarkozy: bocca grande e di braccio corto. Ci si sta chiedendo se non sia ormai ora di cambiare marcia, e cominciare a passare dalle parole ai fatti. Cosa che significherebbe avviare un processo molto rischioso che in “scienze politiche” si chiama rivoluzione.

Un Terremoto che porta alla Rivoluzione

Appena eletta e, subito dopo le elezioni, avendo ottenuto una sua maggioranza all’Assemblea Nazionale, il Presidente Le Pen crede che sia opportuno sfruttare il brevissimo “stato di grazia”, e colpire subito duro. Vuole combattere come una leonessa, provando a confrontarsi con l’immagine che di lei ha disegnato una giornalista del New York Times – che si è arrischiata a paragonarla ad una possibile Margareth Thatcher -. Ma lei pensa anche a Giovanna d’Arco … comunque a qualcuna che sia capace di spaccare tutto, che dove passa scassa tutto. Bisogna osare del resto!

Sorprendente tutti intorno a lei rimangono in silenzio, e così lei può imporre una linea politica di rottura con il programma economico del FN. Una buona comunicazione servirà a far inghiottire questa rottura. E’ stata convinta di questa necessità dai suoi nuovi consiglieri, dei visitatori che arrivano la sera. Ha subito organizzato un referendum sulla politica generale che permetterà al governo, in base alla Costituzione, di legiferare per decreto.

Le proposte, che rompono tutti i tabù sono economiche – si torna a 39 ore ( on paga per 35) –  si abolisce l’imposta sul patrimonio – si aboliscono le soglie sociali nel mondo degli affari – c’è una drastica revisione dello status privilegiato del servizio civile (  non si rimpiazzano più due su tre persone che vanno in pensione) – si limita il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici e gli stipendi dei dipendenti parastatali – si bloccano i sussidi governativi ai sindacati e alla maggior parte delle associazioni – si equalizzano tutti i sistemi pensionistici – si aboliscono i privilegi delle pensioni speciali – si sopprimono le imposte dirette progressive e si introduce una flat tax al 12 % per tutti (che incassa tre volte di più del sistema corrente) – si revisiona e si semplifica il Codice del Lavoro, la libertà contrattuale e si unificano tutti i contratti di lavoro – diminuiscono tutte le tassazione su risparmi e investimenti – si liberalizza il mercato immobiliare – si dimezzano le imposte sui salari – le indennità di disoccupazione si allineano ai modelli inglesi e canadesi, ecc.

Alle proposte politiche presentate al referendum sulla politica generale sarebbero aggiunte anche delle proposte su immigrazione e molte altre questioni: sospensione dell’area Schengen e ripristino dei controlli alle frontiere, abolizione dello jus soli e ritorno allo jus sanguinis, irrigidimento per le condizioni di naturalizzazione, limitazione del diritto di asilo solo a casi eccezionali, espulsione di massa degli immigrati clandestini, annullamento di qualsiasi prestazione, beneficio o aiuto di qualsiasi natura agli stranieri, tra cui il diritto all’istruzione gratuita e alla scuola pubblica che sarebbero strettamente riservate ai cittadini francesi; ritorno ad una legge che preveda pene differenti a seconda della nazionalità, regole rigide per l’Islam, ecc.

Sono state inoltre proposte misure rivoluzionarie per ristabilire l’ordine disciplinare e selettivo nell’Istruzione Nazionale Repubblicana e viene conferita una funzione repressiva alla giustizia, imponendo ai giudici una rigorosa applicazione del codice penale. L’intero programma proposto somiglia a uno shock terapeutico.

Curiosamente, l’uscita dall’Euro non è una misura messa all’ordine del giorno. Marine Le Pen, tornando alla realtà e su consiglio dei suoi visitatori (quelli che vengono da lei di sera), ha respinto la linea del : “Vedremo in seguito” che precedentemente aveva considerato. Tuttavia, il referendum – che ha modificato la Costituzione – include misure che prevedono anche la disobbedienza – caso per caso – per le direttive della Commissione Europea e per le sentenze delle varie corti europee. Ripristinando così la prevalenza della sovranità nazionale nei confronti del diritto europeo.

La Sinistra, la destra meno estremista, il Centro, gli intellettuali, i sindacati, le associazioni, le lobby, insomma l’80% dei media e la maggior parte degli eurocrati gridano alla dittatura, quando si annuncia il referendum.

Ma urla e proteste cadono nel vuoto: il “sì” vince con il 55%. Tutto quadra. Il successo del referendum agisce come una doccia fredda, lasciando al governo le mani libere. Come fulcro della propaganda per il referendum si è fatto riferimento alla Rivoluzione francese, all’uguaglianza, alla libertà, all’abolizione dei privilegi, al primato della Nazione. Parole che difficilmente qualcuno riesce a contestare. Anche Bernard Henry Levy – che spiega sempre tutto – dice che il risultato del referendum non è valido perché è “populista”, “Cesarista” e “non-democratico” ma si ricopre di ridicolo.

E ‘un terremoto. L’Europa trattiene il fiato: l’applicazione di un programma tanto rivoluzionario non potrà provocare il caos? Tutti sono storditi. Immediatamente, anche prima dell’entrata in vigore dell’ordine di esecuzione della volontà del popolo, si nota un movimento spontaneo di migliaia di clandestini che trasformano immediatamente la loro domanda di immigrazione in domanda di asilo.

In un primo tempo, lo shock è molto duro ma si tratta di curare una “febbre da cavallo”. Per un anno, il crollo dell’assistenzialismo provoca ovviamente un impoverimento, a volte drammatico. Ma la situazione si ristabilisce con la liberalizzazione e la fine del collettivismo: afflussi di capitali riavviano gli investimenti e le esportazioni e infine, accade qualcosa di inaudito – qualcosa che non succedeva da oltre trent’anni – un significativo calo della disoccupazione. Le proteste di piazza sono state molto limitate, come gli scioperi di protesta. Di fronte a un potere forte e determinato, i francesi se ne restano a casa o vanno al lavoro; solo quando il potere è debole si eccitano, come la storia ha dimostrato un centinaio di volte.

Inoltre, le curve della criminalità e della delinquenza cominciano a scendere; ovunque si nota una diminuzione netta della presenza straniera. L’attività di nuovi insediamenti sembra essersi fermata, o addirittura invertita. L’Islam istituzionale mantiene un profilo basso. Le cose sembrano andare bene ovunque. Il governo è determinato a continuare e ad andare oltre. Ma sa che dovrà affrontare una controffensiva, in arrivo da tutto il mondo e tutta in una sola volta … Come la guerra, la rivoluzione non si vince di colpo, come in un gioco d’azzardo, ma è un lungo combattimento.

 

Guillame Faye

Fonte: http://www.gfaye.com

Link: www.gfaye.com/si-le-fn-prend-le-pouvoir-quest-ce-que-ca-changera-les-scenarios-6/