2016.12.26 – Il Paradiso Terrestre – 6° parte

Posted by Presidenza on 26 Dicembre 2016
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Foto della terra da internet

Dopo “La Grande Truffa” proponiamo un altro libro di Paolo Maleddu: IL PARADISO TERRESTRE.

In questa sua opera Paolo continua la sensibilizzazione su temi scottanti e semisconosciuti dalla popolazione:

Perché viviamo perennemente angosciati e pesantemente indebitati? E con chi ?

Ci verrà semplicemente dimostrato che viviamo vittime di pochi carnefici che con subdoli mezzi ci sottraggono il frutto di tutto il nostro lavoro e ci riducono in schiavitù.

Grazie Paolo

 

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Il ParadisoTerrestre

6° parte

 

…………

Ci sono tra le righe alcune asserzioni assolutamente rivelatrici che mi permetto

di porre in evidenza.

A parte le ripetute conferme che “ …l’effettiva creazione di denaro coinvolge

sempre l’estensione del credito da parte delle banche commerciali private”

(riserva frazionaria e creazione di danaro), “Sia nella pratica degli orafi che nel

moderno sistema bancario, si crea nuovo denaro offrendo prestiti ai

clienti. Una banca commerciale privata … può emettere in prestito grosso

modo sei dollari per ogni dollaro in riserva … come può tirar fuori sei

dollari da uno? Annota semplicemente delle scritture contabili per i

suoi clienti dicendo ” hai un deposito in conto di sei dollari presso di

noi”,

ci sono delle frasi che vanno dritte al cuore dell’inganno monetario all’origine

di tanta sofferenza per tutti noi.

 

“Quando la Fed compra Titoli di Stato, paga con un assegno proprio”.

 

Questo è un assegno a vuoto. I Grandi Usurai proprietari della Banca

Centrale americana si impossessano di tutta la ricchezza prodotta dal popolo

dando carta (assegni a vuoto) in cambio di un valore certo, le cambiali

(Titoli di Stato) garantite dal lavoro e dalle proprietà del popolo, che sarà

costretto ad onorarle con l’imposizione fiscale o il pignoramento delle proprietà

qualora non riuscisse a pagare qualcuno delle migliaia di balzelli imposti.

La conferma nelle frasi precedenti “ … si crea nuovo denaro offrendo prestiti…

annota semplicemente delle scritture contabili … hai un deposito in conto …

presso di noi”.

 

Più avanti c’è un ulteriore chiarimento:

 

“La Banca della Federal Reserve … riceve i biglietti dal Bureau of Engraving and

Printing (Agenzia di incisione e stampa) del United States Treasury

Department (Ministero del Tesoro).

Paga al Bureau il costo di produzione dei biglietti.”

 

Quanto può costare la stampa di una banconota da 100 dollari, 10-20-30

centesimi?

Quindi detraendo 30 centesimi per la stampa dal valore nominale impresso

100, rimane un utile di ben 99,70.

Tutto molto chiaro, no?

Per niente.

 

Infatti, “… la Banca emittente registra sia una passività che un attivo quando

riceve i biglietti dal Bureau of Engraving and Printing, ed in tal modo non

contabilizza nessun guadagno come risultato della transazione.”

 

Qui c’è qualcosa che non quadra. Come mai se il costo di produzione è 30

centesimi (ciò che paga la banca, a detta del venditore, il Ministero del Tesoro)

e il valore nominale 100, la banca chiude in pareggio?

Forse rivende le banconote da 100 dollari a 30 centesimi?

A qualcuno di voi è mai capitata una banca che vi abbia dato 100 euro a 30

centesimi? Non credo.

Inoltre, è spiegato chiaramente poco prima che “… una banca commerciale …

può avere banconote della Federal Reserve … ma deve pagarle in full (in

pieno, per intero, integralmente), dollaro su dollaro …”.

 

Non ci possono essere dubbi: questo è il furto del denaro del popolo

confermato dal Department of Treasury degli Stati Uniti.

Ancora:

“Le banconote della Federal Reserve non sono rimborsabili in oro o argento o

in nessun altra merce. Non sono rimborsabili dal 1933 … non sono state

garantite da niente dal 1933. Non hanno valore di per sé, ma valgono

per ciò che comprano. In altre parole, dal momento che sono moneta legale

a corso forzoso, le banconote della Federal Reserve sono “coperte” da tutti i

beni e servizi presenti nell’economia”.

Non credo ci sia molto da aggiungere.

 

Capitolo IV

Milan – Juventus

Lo Stato deve battere moneta.

La moneta elimina la disoccupazione.

 

Due brevi brani tratti da “La grande truffa”:

 

“Milan – Juve

 

Domenica c’è Milan – Juventus a San Siro. Forza Juve!

Giocando in casa, tutto il lavoro di preparazione della partita è sulle spalle del

Milan. I dirigenti del club contrattano imprese di pulizia per tirare a lucido lo

stadio, chiamano i giardinieri per curare il tappeto erboso, fanno controllare i

riflettori, prendono accordi con giornali e televisioni per pubblicizzare l’incontro,

pagano profumatamente calciatori e allenatori. Come nella società degli

uomini, c’è tanto lavoro da svolgere e una moltitudine di persone coinvolte.

Le squadre di calcio sono un microcosmo, il lavoro è ripartito tra tutti per il

raggiungimento del bene sociale: l’incasso della partita, il reddito da

distribuire.

Un dirigente va a ritirare gli 80 mila biglietti d’ingresso fatti stampare dalla

Tipografia Centrale. Con sua grande sorpresa, invece delle poche migliaia di

euro che si aspettava di dover pagare per il semplice lavoro di stampa dei

biglietti, il tipografo chiede l’intero valore nominale impresso su di essi: 100

euro per ogni biglietto di tribuna centrale coperta, 60 euro per quelli di tribuna

laterale, 20 euro per le curve.

Al dirigente viene da sorridere.

La Tipografia Centrale vorrebbe impossessarsi di tutto l’incasso solo per aver

stampato i mezzi di scambio che lo rappresentano.

Il Milan fa tutto il lavoro per produrre un reddito, il tipografo vorrebbe

sottrarglielo.

Secondo voi, a chi dovrebbe andare l’incasso?

La risposta è scontata, pare ridicolo anche porsi la domanda.

Un onesto dirigente del Milan, nonostante l’offerta del tipografo di una

generosa fetta della torta da spartire, non si presta a partecipare ad una truffa

tanto ignobile.

Ebbene, ciò che in questa metafora appare tanto assurdo è ancor più grave

nella vita reale.

Noi, il popolo, facciamo tutto il lavoro fisico. Dovremmo dividerci l’incasso, ma i

nostri dirigenti/rappresentanti politici acquistano i biglietti al valore nominale,

consegnando quindi alla Banca d’Italia tutto l’incasso, il frutto del nostro

lavoro.

La popolazione fa tutto il lavoro, le banche prendono l’incasso.

Il popolo semina, i banchieri raccolgono i frutti.

Tutta la ricchezza prodotta finisce nelle mani della grande Usura.

I politici consegnano ai banchieri, con le obbligazioni di Stato garantite dal

prelievo fiscale, il reddito nazionale da noi prodotto, in cambio di banconote

costate il valore della stampa.

La Banca Centrale, per nostra sfortuna, a differenza della Tipografia Centrale,

non si è ancora imbattuta in dirigenti onesti.

 

Il dirigente del Milan ha una soluzione facile facile: si rivolge ad un’altra

tipografia. A noi ciò non è permesso, perché in ciascun paese c’è una sola

Banca Centrale, con il monopolio dell’emissione monetaria.

Noi siamo costretti a comprare quei biglietti al valore nominale impresso sugli

stessi, gravati per di più di un interesse assassino.

Il dirigente che acquista quei biglietti al valore nominale mette il Milan in

grande difficoltà: dopo aver pagato operai e calciatori, i soldi rimasti non sono

sufficienti per saldare il debito con la Tipografia Centrale.

Che fare?

Il Milan è costretto a spiegare ai propri dipendenti che deve tassare,

riprendersi cioè gran parte dello stipendio appena consegnato, per poter tutti

assieme contribuire a saldare il debito con il tipografo.

Ai lavoratori rimangono giusto i soldi per pagare l’affitto, la luce, il gas, l’acqua,

il ritiro rifiuti, la rata dell’auto, il bollo, l’assicurazione, la benzina per andare al

lavoro, il canone Tv, i vestiti e il pane.

Ed il tipografo?

Se riesce a corrompere i dirigenti di tutte le squadre facendoli partecipare alla

spartizione del bottino, si arricchisce a dismisura partita dopo partita.

Solamente stampando biglietti di carta, si impossessa degli incassi di tutte le

partite.

Sottrae alle squadre di tutto il mondo la ricchezza prodotta con il loro lavoro.

 

Il Governo, invece di far stampare gratuitamente i biglietti dal Ministero del

Tesoro, preferisce prenderli in prestito ad interesse dal banchiere e lasciare noi

nei guai: con il nostro lavoro dovremo cercare di mantenerci in vita e ripagare,

con un abnorme prelievo fiscale, il debito contratto con la Banca Centrale.

Impossibile.

Più avanti capiremo che il debito gravato da interesse è di per sé

inestinguibile.

All’interno dell’attuale sistema monetario è matematicamente impossibile

che nel mondo tutti riusciamo a sopravvivere, e che si possa estinguere il

debito con la Banca Centrale.

Per quale motivo continuiamo a lavorare se l’incasso è già stato scippato nello

scambio tra Governo e Grande Usura?

Non ne siamo consapevoli, la truffa si compie davanti ai nostri occhi, ma noi

non la “vediamo”.

Per chi stiamo dunque lavorando?

Per i Grandi Usurai internazionali.

Chi sono? “

* * * *

 

Lo Stato deve battere moneta

La moneta elimina la disoccupazione

 

“Restiamo con il pescatore di Cabras.

Abbiamo visto che, in assenza di denaro, lo scambio tra muggini ed energia

con l’Enel si inceppa, non può avvenire per ovvi motivi.

A questo punto deve intervenire lo Stato. Tra i suoi compiti, quello di gran

lunga più importante è di fornire al popolo il mezzo di scambio necessario a far

girare l’economia e raggiungere un dignitoso benessere.

Lo Stato deve battere moneta.

È un suo diritto/dovere.

Deve fornire al pescatore (al popolo) il mezzo di scambio per raggiungere il

bene desiderato: l’energia.

Essendo solo un mezzo di scambio (il valore sta nei muggini e nell’energia),

deve essere reso disponibile gratuitamente.

Come?

Immettendo denaro nella società. Spendendo …

Lo Stato non saprebbe che farsene dei muggini, ma può certamente comprare

il lavoro degli impiegati che servono per portare avanti l’ordinaria

amministrazione, degli operai che costruiscono un nuovo ponte o una

autostrada, pagare i materiali di costruzione e le attrezzature di una nuova

Università.

Queste retribuzioni, in mano ad operai ed impiegati, sono il “certificato del

lavoro svolto” di Ezra Pound, “un titolo di richiesta per ottenere beni reali e

servizi” di Gertrude Coogan, il “biglietto universale” di Joaquin Bochaca: il

mezzo di scambio che fa girare l’economia.

In mano allo Stato la moneta è uno straordinario strumento di ricchezza

per i popoli. Lo Stato infatti può costruire tutti gli ospedali che servono alla

comunità, tutte le scuole pubbliche, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, le

autostrade, i ponti, le case da dare a riscatto alle giovani coppie che entrano

nel mondo del lavoro, le case di accoglienza per anziani e i parchi pubblici,

pagando con cartamoneta stampata nell’occasione in nome del popolo.

Uno Stato sovrano padrone della propria moneta può comprare tutto il

lavoro che serve per far funzionare ospedali, scuole, aeroporti, ferrovie, case

di accoglienza, per la manutenzione di strade, acquedotti, giardini pubblici,

parchi, foreste.

In poche parole, può eliminare la disoccupazione.

 

La moneta è uno strumento di benessere, nata per servire il popolo.

Noi siamo il popolo e anche i disoccupati …

La nostra mente ha inventato la moneta, ed ora i nostri rappresentanti la

utilizzano per arricchire coloro che ricchi lo sono già (solo materialmente,

ahimè), ma non i poveri che ne hanno realmente bisogno.

C’è qualcosa che non va …

 

Spendendo la moneta del popolo in infrastrutture e retribuzioni per i dipendenti

statali, lo Stato arricchisce la comunità con le proprietà immobiliari costruite e

con la liquidità immessa in circolazione.

continua…..

 

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Paolo Maleddu

 

TESTATA SEZ. AGRICOLTURA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sardinnia, 21 de Idas 2016

 

SARDU COMPORA SARDU

UNA NOTIZIA DI ALTO LIVELLO CHE VUOLE PASSARE IN SORDINA

 

Un sincero ringraziamento va a chi è riuscito finalmente a farne parlare. Anni di slogan, di proteste, ma finalmente oggi leggo di una proposta che và assolutamente cavalcata.

Giustissimo far suonare le campane e pubblicizzare un progetto essenziale per arrivare a quel fatidico traguardo culturale, socio produttivo ed economico chiamato Natzione Sarda.

E’ un progetto che sicuramente ha bisogno del supporto di ciascun sardo senza che se ne pretenda la paternità o dei progetti alternativi.

Personalmente integrerei il “compara sardu” con il “produci sardo in Sardegna per i sardi” per far si che aumenti la competizione con il mercato che inibisce la produzione autoctona.

Non dimentichiamo che produciamo solamente il 15% del nostro fabbisogno alimentare mentre importiamo 2 miliardi di euro di alimenti trash, equivalenti a circa 120.000 posti di lavoro tra agricoltura e indotto; abbiamo 350.000 ettari di terreni incolti di cui 90.000 irrigui. Ecco perchè bisogna supportare l’iniziativa di uomini sardi che amano la Natzione Sarda e lottano per tutti, indipendentemente dai colori e dalle ideologie personali.

Gratzias de coru

                                                                     Luisu Zucca

                                                                      (Provv. Gen. Sez. Agricoltura MLNS/GSP)

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Putin, limpido, ha spiegato: «L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessati a risolvere il conflitto in Siria».

Il MLNS, in questo drammatico momento, è solidale e vicino al popolo russo e alle sue istituzioni.

 

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È stato vittima di un’esecuzione quasi in diretta l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, freddato con una raffica di colpi alla Galleria d’Arte Moderna d’Ankara: le grida dell’omicida, un poliziotto poco più che 20enne, inducono i media a parlare di terrorismo di matrice islamista, una vendetta per le vicende di Aleppo. Diversi elementi suggeriscono che la pista dell’estremismo religioso sia solo un paravento e che dietro l’assassinio si nascondano i servizi atlantici, ancora radicati in Turchia grazie alla rete dell’imam Fethullah Gülen. Difficilmente tra Russia e Turchia scenderà il gelo, perché così facendo il Cremlino il gioco dei mandanti: l’omicidio dell’ambasciatore Karlov è però una spia dell’attuale clima internazionale. L’establishment atlantico agisce sempre più come un cane rabbioso.

 

No, non ci sarà nessuna rottura russo-turca

Lunedì 19 dicembre, Ankara, Galleria d’Arte moderna: l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, sta tenendo un discorso all’inaugurazione della mostra “la Russia vista dai Turchi”. Prima che inizi a parlare, si posiziona alle sue spalle un uomo: è vestito con camicia bianca e cravatta nera, giovane, ben rasato e composto. L’ambasciatore russo si cimenta nel classico discorso di routine per simili occasioni.

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Andrei Karlov

 

 

Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.

L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.

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Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.

A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.

 

 

 

 

 

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La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?

La risposta a tutte le domande è: no.

Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi a sabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.

La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio da cui il Califatto trae il suo sostentamento.

Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.

L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascenteKurdistan nel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, col cannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.

Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice: destabilizzando la Turchia. Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.

C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.

Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicato guerra civile tra sciiti e sunniti ad riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.

Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionale si decidono ormai al Cremlino che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.

A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.

Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.

Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:

  • il poliziotto Mevlut Mert Altintas non avrebbe mai potuto introdursi armato nella Galleria d’Arte moderna e posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore, né quest’ultimo essere separato dai propri guardaspalle, se un’attenta regia non avesse pianificato nel minimo dettaglio l’operazione: qualcuno ha agito perché tutte le misure di sicurezza fossero aggirate;
  • la presenza di una regia nell’omicidio di Karlov è testimoniata dalla sua esecuzione “a favore di telecamera” e dalla velocità con cui il video ha lasciato la Galleria d’Arte Moderna per invadere la rete ed i media: è stato quasi un omicidio in diretta, così da aumentarne esponenzialmente l’impatto. Il filmato, in altre circostanze, difficilmente avrebbe lasciato la scena del crimine, certamente non così in fretta. Il killer è stato attentamente istruito per agire dentro il campo della telecamera, così da confezionare un video sulla falsariga di quelli prodotti dall’ISIS o da Al Qaida: il poliziotto Mevlut Mert Altintas è nell’inquadratura delle camere prima, durante e dopo l’omicidio;
  • l’attentatore non è un funzionario di polizia qualsiasi: membro delle unità anti-sommossa, ha fatto parte anche della scorta di Recep Erdogan3. Per avvicinare il presidente turco ed essere assegnato al suo corpo di sicurezza personale, Mevlut Mert Altintas deve aver superato un accurato esame psicofisico e politico. Ciò corrobora la tesi del sindaco di Ankara, Melih Gokcek, secondo cui l’attentatore fosse un membro della rete dell’imam Fethullah Gülen, radicata sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine. Ricordiamo che Gülen, mentore di Erdogan e suo alleato fino al 2015, ha orchestrato dall’esilio dorato in Pennsylvania il putsch militare della scorsa estate;
  • la concomitanza dell’omicidio di Karlov con l’attentato di Berlino, una riedizione della strage di Nizza del luglio scorso, indica una comune regia ed un’attenta pianificazione: una serie di attacchi terroristici simultanei o separati da poco tempo, hanno un effetto stordente sull’opinione pubblica, che non ha il tempo per metabolizzare gli avvenimenti né la possibilità di porsi interrogativi su quanto stia realmente avvenendo. Lo si è già visto quest’estate in Francia: il 14 luglio muoiono un’ottantina di persone ed il 26 luglio, quando le domande senza risposta sulla strage abbondano ancora, l’attenzione è già dirottata sulla barbara uccisione del parroco di Rouen.Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
  • Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
  • Quali conclusioni si possono quindi trarre dall’omicidio Karlov?

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tratto da: (clicca qui)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2016.12.16 – Il Regno Unito non potrà mai esaurire le sterline

Posted by Presidenza on 16 Dicembre 2016
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Un post sul Wall Street Journal affronta uno dei miti più duri a morire: quello secondo cui un paese sviluppato e con una propria valuta possa essere costretto, in qualche caso, a fare default. Il default non può avvenire (se non lo si decide deliberatamente), e nemmeno i rendimenti aumentano o i titoli si svalutano: è la moneta a farlo, e con le sue normali e fisiologiche oscillazioni rimette i mercati in equilibrio senza bisogno di traumi. Se vedendo svalutarsi la moneta qualcuno correrà a vendere i titoli, qualcun altro trovandoli a buon mercato correrà a comprarli.

 

 

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di Jon Sindreu, 31 ottobre 2016

Tra i fatti che ci mettono proprio un’eternità per essere capiti, eccone uno: i paesi che si indebitano nella propria valuta non saranno mai costretti a fare default sul debito.

Nei mesi appena trascorsi abbiamo avuto un’ulteriore prova di questo fatto. Quando il Regno Unito stava per votare nel referendum sulla propria appartenenza all’Unione europea, alcuni investitori e analisti hanno messo in guardia sul fatto che gli stranieri, spaventati, avrebbero potuto sbarazzarsi dei titoli del debito pubblico britannico, facendo così impennare i costi di finanziamento per il governo.

Avevano torto. Il giorno dopo la Brexit il valore di quei titoli è aumentato del 3,5 percento.

Di recente, una svendita dei titoli ha spinto molti — di nuovo — a sostenere che gli investitori stranieri stavano fuggendo dal paese. Dato che essi detengono circa un quarto del mercato attuale, perfino il Ministero del Tesoro britannico ha affermato che sarebbe stato un serio problema.

Ma i dati pubblicati lunedì mostrano che gli investitori non-residenti nel Regno Unito a settembre detenevano un valore netto totale di 13,2 miliardi di sterline in titoli, cioè il valore massimo da quasi un anno a questa parte. Nel corso di questo mese [ottobre], il valore dei titoli, che si muove in direzione opposta rispetto al valore dei rendimenti, è sceso di oltre il 5 percento.

Nel mese successivo al referendum le vendite nette ammontavano a soli 4,4 miliardi di sterline, un valore che sta assolutamente all’interno delle tipiche oscillazioni mensili.

È vero che quelli che hanno comprato i titoli a settembre ci hanno rimesso, a causa dell’ampia svendita che è avvenuta in ottobre — cosa di cui i nuovi dati riferiti a settembre non tengono conto. Ma non c’è nessun segnale del fatto che gli investitori stranieri siano in qualche modo preoccupati per i titoli del debito pubblico britannico dopo la Brexit.

Ma dunque, come sono variati gli asset britannici dopo lo shock della Brexit? Risposta: dato che la sterlina stessa si è svalutata, non ce n’è stato bisogno. Gli asset britannici sono diventati automaticamente più convenienti da comprare per gli stranieri, fornendo così un ammortizzatore per i mercati.

I dati mostrano che non c’è stato nessun particolare deflusso dalla Gran Bretagna — piuttosto, gli stranieri si sono limitati a ridefinire il valore della sterlina. Pertanto, anche se alcuni stranieri possono sbarazzarsi dei titoli, è improbabile che questi restino svalutati a lungo.

Ciò perché la Gran Bretagna è un paese sviluppato con mercati finanziari liquidi, che può emettere debito nella propria valuta. A differenza della Grecia o della Spagna, che possono certamente esaurire gli euro, la Gran Bretagna potrà sempre emettere le proprie sterline.

Inoltre non deve affrontare gli stessi problemi di molti paesi emergenti, che spesso si indebitano in valuta straniera perché non posseggono un sistema finanziario funzionale, o perché hanno governi instabili che decidono di dichiarare default per motivi politici.

Benché l’indipendenza delle banche centrali — una scelta che sono i paesi stessi a fare — venga spesso sottolineata come contro-argomento rispetto all’idea che i paesi che emettono la propria valuta non siano obbligati a fare default, le loro operazioni nei mercati valutari avvengono tramite titoli di stato, assicurando ai titoli pubblici un mercato liquido e stabile. Di fatto il ruolo delle banche centrali è sempre stato intimamente connesso alla gestione del debito pubblico.

I programmi di quantitative easing lo hanno reso ancora più evidente: la Banca d’Inghilterra possiede oggi più o meno un terzo del mercato dei circa 1.500 miliardi di sterline di titoli.

Anche nell’eurozona la Banca centrale europea ha mostrato di avere il potere di mettere fine alle svendite di titoli. Per decenni le agenzie di rating hanno ammonito sui pericoli del sempre crescente debito pubblico giapponese, eppure la compravendita di titoli pubblici giapponesi resta sempre a livelli record.

Nelle interviste ben pochi investitori hanno detto di avere avuto in mente il rischio di credito quando hanno deciso di vendere titoli il mese scorso — la loro preoccupazione era piuttosto che la caduta della sterlina avrebbe spinto la Banca d’Inghilterra ad una reazione eccessiva.

Dato che i titoli del debito pubblico sono sicuri tanto quanto il contante — se non di più — il loro valore dipende  principalmente dalle aspettative sulle azioni della banca centrale. È ora chiaro che il valore dei titoli del Regno Unito ha per lo più seguito quello dei titoli di altri paesi del mondo sviluppato, che si sono attestati a livelli massimi a causa della diffusa aspettativa che i decisori politici avrebbero fornito meno stimolo monetario da ora in avanti.

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2016.12.12 – Draghi: ora vi taglio i viveri, così imparate a votare No

Posted by Presidenza on 12 Dicembre 2016
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La popolazione, sempre più povera, esprime il suo rifiuto alla globalizzazione e le èlite criminali inaspriscono il loro bieco comportamento

 

«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, pronunciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».

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Mario Draghi

 

 

Si tratta di «un vero proprio disegno politico», contenuto nei dettagli operativi illustrati da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce. Un evento solo in apparenza tecnico, avverte “Micromega”, in un’analisi firmata “Raro”. Draghi ha annunciato che l’autorità monetaria proseguirà il programma di acquisto di titoli pubblici, come tutti si aspettavano, oltre la scadenza inizialmente prevista per il marzo prossimo, «ma ha aggiunto un elemento di novità in cui pochi credevano: il flusso di liquidità con cui la banca centrale sta tenendo a bada gli spread inizierà a ridimensionarsi, già a partire da aprile». Ciò significa che «la Bce prefigura, per la prima volta, un progressivo alleggerimento dello stimolo monetario garantito da ormai due anni all’Eurozona». Ed è così che, «mentre politici e governanti europei vengono impietosamente travolti dall’onda anomala del populismo antisistema, l’autorità monetaria si profila come l’unica soggettività politica capace di elaborare una qualche forma di reazione della classe dirigente d’Europa».

Dopo due anni relativamente tranquilli, scrive “Micromega”, la progressiva riduzione del sostegno ai titoli di Stato «determinerà, nei prossimi mesi, una minore liquidità del debito pubblico europeo e non potrà che portare con sé un rialzo nei tassi di interesse pagati dai governi della periferia, a discapito della stabilità finanziaria». La Bce ha poi esteso il programma sia sul fronte delle scadenze, includendo titoli a più breve termine (fino ad un anno), che sul fronte dei tassi, rendendosi disponibile all’acquisto di titoli caratterizzati da un rendimento inferiore al già negativo tasso sui depositi presso la banca centrale. «Il significato di queste rifiniture del quantitative easing appare chiaro», osserva “Micromega”: «Dal momento che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici con rendimenti negativi è ascrivibile alla Germania, e in particolare alle sue scadenze a breve termine, le modifiche apportate al programma di acquisti perseguono l’obiettivo di assicurare a Berlino una quota consistente della liquidità residua che arriverà nei prossimi mesi. Dunque, proprio mentre procede a ridurre la portata del suo supporto alla generalità dei debiti pubblici europei, l’autorità monetaria mette in chiaro che non sarà la Germania a soffrire di questa minore copertura».

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Draghi con Napolitano

 

Al contrario, come i movimenti di Borsa stanno segnalando in queste ore, si assiste già ad una contrazione del rendimento dei titoli tedeschi a fronte di un leggero rialzo di quelli italiani: «Si riaffaccia, in Europa, il fantasma dello spread, ovverosia l’ampliamento del divario tra il costo del debito pubblico dei paesi centrali e quello dei paesi periferici». Per “Micromega”, dunque, «inizia così ad emergere, dal complesso intreccio delle specifiche tecniche della manovra di politica monetaria appena varata, un dato politico». Corsi e ricorsi: fu proprio sulla scia di un repentino ampliamento degli spread che, ad Atene nel lontano 2009, «si è aperta per l’Europa la stagione dell’austerità». Una fase storica «caratterizzata dall’applicazione simultanea, nei principali paesi europei, del medesimo indirizzo politico: abbattimento dello stato sociale, contrazione dei diritti dei lavoratori e redistribuzione del reddito dai salari ai profitti». Un indirizzo politico che, «a dispetto del suo marcato carattere antipopolare», di fatto «non ha incontrato alcuna resistenza significativa per quasi cinque anni, grazie soprattutto al clima emergenziale imposto dai mercati attraverso la frusta dello spread».

Tuttavia, «gli esiti socialmente disastrosi di questa violenta accelerazione della globalizzazione hanno fatto maturare un rifiuto dell’austerità e delle sue istituzioni», che ha trovato espressione prima in Grecia, nell’estate 2015, dove l’ennesimo programma “lacrime e sangue” è stato rispedito (invano) al mittente con un referendum, poi in Gran Bretagna un anno dopo con la Brexit, e infine in Italia, con la recente bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo. «Dopo cinque lunghi anni di austerità – continua l’analista di “Micromega” – una borghesia impoverita e un esercito di venti milioni di disoccupati hanno iniziato ad alzare la voce: approfittando dei tre grandi referendum popolari, queste vittime del neoliberismo europeo hanno inferto tre durissimi colpi al progetto di integrazione europea». E attenzione: «È esattamente a questo punto della storia che interviene la mossa decisa da Draghi giovedì scorso: la stretta monetaria programmata per i prossimi mesi si configura come la prima, violenta risposta delle élite europee alla marea antisistema che le sta minacciando».

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Draghi e Schaeuble

 

Si tratta di una reazione che «rischia di compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa», e proprio su questo punto «si misurerà l’intraprendenza della Bce». La stretta monetaria, infatti, «è pensata per aumentare il grado di esposizione dei governi alla disciplina dei mercati: tolta la protezione del quantitative easing, il debito pubblico dei paesi periferici tornerà ad essere pienamente vulnerabile ai venti della speculazione». Nei progetti dell’autorità monetaria, «la pressione esercitata dai mercati attraverso gli spread può riuscire laddove le regole, da Maastricht al Fiscal Compact, hanno fallito: costringere la periferia d’Europa sulla strada delle riforme e dell’austerità senza ulteriori esitazioni, e dunque senza quella prudenza che l’avanzata dei populismi sembra suggerire alla classe politica europeista». Nel promuovere l’austerità attraverso la disciplina degli spread, Draghi «si pone alla testa di quella classe politica e la trascina sul rischioso crinale dello scontro frontale con gli sconfitti della globalizzazione e le loro rivendicazioni». L’impatto, per “Micromega”, «potrebbe trascinare ancora più a fondo l’Europa».

tratto da: (clicca qui)

 

2016.12.08 – Il ParadisoTerrestre – 5° parte

Posted by Presidenza on 8 Dicembre 2016
Posted in articoli 

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Foto della terra da internet

Dopo “La Grande Truffa” proponiamo un altro libro di Paolo Maleddu: IL PARADISO TERRESTRE.

In questa sua opera Paolo continua la sensibilizzazione su temi scottanti e semisconosciuti dalla popolazione:

Perché viviamo perennemente angosciati e pesantemente indebitati? E con chi ?

Ci verrà semplicemente dimostrato che viviamo vittime di pochi carnefici che con subdoli mezzi ci sottraggono il frutto di tutto il nostro lavoro e ci riducono in schiavitù.

Grazie Paolo

 

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Il Paradiso Terrestre

5° parte

 

……………………

La Fed ha diversi modi di controllare l’ammontare totale di riserve nel sistema.

Uno è già stato menzionato, cioè il fatto che le Banche della Federal Reserve

possono prestare riserve alle banche commerciali private. Per fare ciò, la Banca

della Federal Reserve semplicemente fa una nuova annotazione nei suoi libri

contabili, sapendo che la banca che sta prendendo in prestito ha altri dollari nei

suoi conti presso la Banca della Federal Reserve (i suoi “conti di riserva”). Dal

momento che i suoi depositi presso una Banca della Federal Reserve sono

riserve legali per le banche private, le banche private possono quindi

espandere i loro prestiti di un multiplo dell’incremento dell’ammontare nel suo

conto presso la Fed. Quando la banca privata ripaga la Fed, lo farà “pagando”

riserve alla Fed, abbassando nuovamente il proprio saldo con la Fed. A questo

punto la banca privata potrebbe dover ridurre i suoi prestiti e abbassare

l’ammontare totale degli accrediti in conto corrente.

Lo strumento che la Fed usa più spesso per controllare l’offerta monetaria è ciò

che viene chiamato “operazioni di mercato aperto”, cioè comprare e vendere

obbligazioni del Governo degli Stati Uniti.

Quando la Fed acquista Titoli di Stato, paga con un assegno proprio. Quando

un compratore versa questo assegno nella sua banca, la banca lo presenta alla

Fed e riceve credito per lo stesso ammontare nel suo conto presso la Fed (il

suo “conto riserve”). Ma, naturalmente, il conto di una banca presso la Fed

costituisce la sua riserva legale, e una volta che ha un nuovo credito presso la

Fed può espandere i propri prestiti di un multiplo di quel nuovo credito.

Quindi, quando la Fed compra Titoli di Stato, incrementa la capacità del

sistema bancario di aumentare l’offerta monetaria.

Se la Fed vende Buoni del Tesoro, le banche pagano la Fed diminuendo le loro

riserve. Sono allora obbligate a richiamare i prestiti sino a ridurre l’ammontare

totale della loro esposizione alla cifra che il più basso livello di riserve legali

può coprire.

Così è come la Federal Reserve aiuta a ridurre o aumentare l’offerta monetaria.

La Federal Reserve permette che le banche decidano che quantità delle loro

riserve tenere sottoforma di contante nei loro stessi caveaux sotterranei e che

parte tenere in scritture contabili presso la Fed. Se le banche iniziano a

chiedere più valuta contante, la Fed ne farà stampare di più. La banca paga la

valuta contante abbassando le sue riserve presso la Fed.

Comunque, il contante tenuto in banca e il conto corrente presso la Fed

fungono ugualmente come riserva legale. È con l’incremento dell’ammontare

totale delle riserve, i conti presso la Fed assieme al contante in banca, che la

Fed incrementa l’offerta monetaria. Qualitativamente, il passo più importante

per l’aumento dell’offerta monetaria è l’incremento di prestiti e giacenze in

conti correnti nelle banche private; gli aumenti in cartamoneta in confronto

sono minimi. La gente parla ancora della “Fed che mette in moto le stampanti”,

ma è solo un modo di dire in riferimento alle più complicate transazioni che in

realtà si svolgono.

Le dodici Banche della Federal Reserve non sono obbligate ad avere dei beni a

garanzia delle loro passività contabili. Sono tenute ad avere degli attivi a

copertura delle passività uguali in valore all’ammontare delle banconote in

circolazione (12 U.S.C. $12). Garanzie ammissibili includono certificati di oro,

certificati di Diritti Speciali di Prelievo, Titoli di Stato Usa e documentazione

commerciale ricevuta come garanzia su prestiti. Comunque, le banconote della

Federal Reserve non sono rimborsabili solo in monete metalliche degli Stati

Uniti o in altra valuta degli Stati Uniti.

Le banconote della Federal Reserve sono moneta a corso forzoso (31 U.S.C.

392). Sono emesse dalle dodici Banche della Federal Reserve ai sensi della

sezione 16 del Federal Reserve Act del 1913 (12 U:S:C: 411). Una banca

commerciale che appartenga alla Federal Reserve System può avere banconote

della Federal Reserve dalla Banca Federal Reserve del suo distretto

ogniqualvolta lo desideri, ma deve pagarle per intero, dollaro su dollaro,

diminuendo il saldo dei suoi conti presso la Banca Federal Reserve del suo

distretto.

La Banca Federal Reserve a sua volta riceve le banconote dal Bureau of Engraving and Printing

del Ministero del Tesoro degli Stati Uniti. Paga al Bureau il costo della stampa delle banconote.

Le banconote della Federal Reserve diventano allora passività delle dodici Banche della Federal

Reserve. Dal momento che le banconote costituiscono delle passività della Federal Reserve, la

Banca emittente annota sia una passività che un attivo quando riceve le banconote dal Bureau

of Engraving and Printing, ed in tal modo non contabilizza nessun guadagno come risultato

della transazione.

Oltre ad essere passività delle Banche Federal Reserve, le banconote della

Federal Reserve sono obbligazioni del Governo degli Stati Uniti (12 U.S.C.

411). Il Congresso ha specificato che una Banca della Federal Reserve deve

avere garanzie reali (principalmente certificati d’oro e titoli di Stato degli Stati

Uniti) uguali in valore alle banconote della Federal Reserve che riceve (12

U.S.C. 412). Il proposito di questa paragrafo, inizialmente entrato in vigore nel

1913, era di fornire una copertura per l’emissione delle banconote. L’idea era

che qualora la Federal Reserve System si dovesse dissolvere, gli Stati Uniti si

farebbero carico delle banconote (passività) soddisfacendo così le prescrizioni

del paragrafo 411, ma rileverebbe pure gli attivi, che sarebbero dello stesso

ammontare. Le banconote sono una prima ipoteca su tutti i beni delle Banche

della Federal Reserve, così come sulle garanzie appositamente messe a

copertura (12 U.S.S. 412).

 

Le banconote della Federal Reserve non sono rimborsabili in oro o argento o

altre merci. Non sono rimborsabili dal 1933. Non sono rimborsabili nel senso

che le banconote della Federal Reserve non hanno goduto di nessuna copertura

sin dal 1933. Hanno valore non per sé stesse, ma per ciò che possono comprare. In altre

parole, essendo moneta legale a corso forzoso, le banconote

della Federal Reserve sono “coperte” da tutti i beni e servizi esistenti

nell’economia.

Sia i biglietti degli Stati Uniti che quelli della Federal Reserve sono parte della

nostra valuta nazionale e sono moneta legale a corso forzoso; circolano come

denaro allo stesso modo.

Però, l’autorità sotto la quale sono emessi viene da statuti differenti.

Le banconote degli Stati Uniti erano autorizzate dal Legal Tender Act del 1862,

mentre quelle della Federal Reserve sono state autorizzate dal Federal Reserve

Act del 1913. I biglietti degli Stati Uniti sono emessi direttamente dal Tesoro

degli Stati Uniti e sono obbligazioni degli Stati Uniti. I biglietti della Federal

Reserve sono emessi dalla Federal Reserve System e sono obbligazioni sia della Federal

Reserve System che del Governo degli Stati Uniti.

I biglietti degli Stati Uniti sono stati emessi in principio durante la Guerra

Civile. L’ammontare totale che può essere emesso si limita a trecento milioni di

dollari. Mentre poteva essere una cifra rilevante ai tempi della Guerra Civile,

costituisce oggi una piccola frazione del contante totale in circolazione negli

Stati Uniti. Al 31 di marzo del 1982, la valuta statunitense in circolazione era

128.853 milioni di dollari, di cui 305 milioni di dollari era in biglietti degli Stati

Uniti. La banconota degli Stati Uniti viene emessa solo al valore nominale di

100 dollari, sebbene in passato sia stata emessa in minori valori nominali.

In generale “moneta legale” vuol dire la stessa cosa che “moneta a corso

forzoso” (Black’s Law Dictionary, 4th ed. 1968, p.1032), ma 12 U.S.C. è un

eccezione.

Il paragrafo 151 e 152 del codice del Titolo 12 riguarda le banche nazionali

dell’oro, chiamate associazione (i) istituita per emettere monete d’oro” nel

paragrafo del codice. Per poter spiegare perché il termine “moneta legale” sia

stato usato nel paragrafo 152, è necessario esaminare brevemente la storia

delle banconote private.

Nel 1300, le banche commerciali private emettevano banconote che venivano

utilizzate come denaro. In altre parole, le banconote erano cartamoneta

emessa privatamente. Non c’era niente di illegale nel loro uso, ma d’altro canto

nessuna legge obbligava ad accettarle. Pertanto, non erano considerate

“moneta legale”. Il termine “moneta legale” era riservato al denaro che la legge obbligava la

gente ad accettare, per esempio, valuta a corso forzoso.

Le leggi nazionali che regolamentano le banche nazionali, come pure la

maggior parte delle leggi statali che regolano le banche statali, richiedevano

alle banche di essere pronte a cambiare le loro banconote con “moneta legale”.

Dopo che gli Stati Uniti incominciarono ad emettere cartamoneta, in seguito al

passaggio del Legal Tender Act del 25 Febbraio 1862, 12 Stat. 345, ciò

significava che le banche private potevano cambiare le loro banconote con

monete metalliche degli Stati Uniti o con banconote degli Stati Uniti.

Il National Bank Act di Giugno 1864, 13 Stat. 345, obbligava le banche

nazionali a cambiare le loro banconote con “moneta legale”. National Bank Act

del 3 Giugno 1864, Sezione 46, 13 Stat. 113. Le Banche Nazionali erano tenute

a conservare riserve in moneta legale in una quantità uguale al 35% del totale

dei loro depositi in conto corrente e banconote. National Bank Act del 3 Giugno

1864, Sezione 3113 Stat. 108. Gli era concesso emettere banconote in

quantità che non eccedessero il 90% dei Titoli di Stato degli Stati Uniti

registrati in loro possesso. National Bank Act del 3 Giugno 1864, Sezione 21,

13 Stat. 105. Banche Nazionali erano state fondate in gran parte del paese

dopo l’entrata in vigore del National Bank Act. Comunque, in California la

maggior parte della gente preferiva trattare in oro piuttosto che in banconote,

e nessuna banca nazionale era stata aperta là sino al 1870. Il Congresso

aveva allora emendato il National Bank Act per permettere altri tipi di banche,

che avrebbero cambiato le loro banconote solo in monete d’oro, piuttosto che

in monete e in cartamoneta. Atto del 12 Luglio 1870, 16 Stat. 251 e 252. Si

pensava che tali banconote sarebbero state ritenute più accettabili dai

Californiani. L’emendamento precisava gli speciali requisiti delle banche

dell’oro, soprattutto rimborsabilità dei biglietti in monete d’oro, obbligo di una

riserva in oro o argento uguale al 25% dell’emissione di biglietti, e un limite

sull’ammontare dell’emissione delle banconote dell’80% della quantità di

obbligazioni degli Stati Uniti registrate in possesso della banca emittente. Atto

del Luglio 1870, sezioni 3 e 4, 16 Stat. 252. L’emendamento stabiliva inoltre

che il National Bank Act regolamentasse le funzioni delle banche dell’oro, ma

che nell’applicare quell’atto alle banche dell’oro, il termine “moneta legale” e

“moneta legale degli Stati Uniti” venisse intesa e continuasse a significare

monete metalliche d’oro o argento degli Stati Uniti. Atto del 12 Luglio 1870,

Sezione 5, 16 Stat. 253. E l’ultima clausola codificata nel 12 USC 152. La

clausola dovette essere aggiunta per maggior chiarezza. Altrimenti, l’Atto del

del 12 Luglio 1870, obbligherebbe le banche dell’oro a pagare i loro biglietti in

monete d’oro o d’argento e il National Bank Act permetterebbe loro di pagare i

loro biglietti in “moneta legale” includendo cartamoneta e tenere riserve in

cartamoneta.

Oggi non esiste nessuna banca dell’oro. Sarebbe impossibile metterne una in

piedi per due ragioni. Primo, solo obbligazioni “col privilegio della circolazione”

possono essere registrate ed usate per soddisfare l’obbligo per le banche

dell’oro di possedere Titoli di Stato, e gli Stati Uniti hanno cessato di emettere

obbligazioni col privilegio della circolazione. Sec 31 USC 753c, 31 USC 752c

(d). 37 USC 757c-2 31 USC 758. Gli ultimi Titoli di Stato che potevano circolare sono maturati

nel 1935. (Questo è il motivo per il quale le banche nazionali oggi non emettono banconote.)

In secondo luogo, gli Stati Uniti non coniano più monete d’oro.

La maggior parte di coloro che scrivono di questioni riguardanti il termine

“moneta legale” sono interessati nella sua rilevanza nell’emissione della valuta

degli Stati Uniti. Il paragrafo 152 del Titolo 12 del United States Code riguarda

solo le banche dell’oro nazionali, e non ha pertanto nessuna rilevanza per

l’emissione della valuta da parte degli Stati Uniti.

Il termine “moneta legale” ha comunque una certa importanza nella storia

della valuta degli Stati Uniti. Quando i biglietti della Federal Reserve erano

inizialmente emessi secondo la Sezione 16 del Federal Reserve Act del 1913,

12 USC 411, 38 Stat.265, non erano valuta a corso forzoso. Pertanto, non

erano “moneta legale”, sebbene, come le banconote private erano

perfettamente legali, naturalmente. Nonostante le banconote della Federal

Reserve non fossero esse stesse moneta legale, erano pagabili in oro e moneta

legale (per esempio, biglietti degli Stati Uniti e monete metalliche) sino al

  1. Federal Reserve Act del 1913, sezione 16, 12 USC 411, 38 Stat. 265.

Nel 1933, i biglietti della Federal Reserve furono dichiarati valuta a corso

forzoso. Sec. 31 USC 392, che era stata adottata nel 1965 per rimpiazzare 33

USC 462, entrata in vigore nel 1933. Da quel momento i biglietti della Federal

Reserve, così come tutta l’altra valuta e monete degli Stati Uniti, sono “moneta

legale”.

Nel 1934, 32 USC 411 è stato emendato per cancellare l’obbligo che i biglietti

della Federal Reserve siano rimborsabili in oro. Gold Reserve Act del 1934,

40 Stat. 337.

Le banconote del Tesoro sono obbligazioni emesse dal Ministero del Tesoro che

maturano in un anno o meno dall’emissione. Questi biglietti non sono gravati

da interesse: vengono emessi con lo sconto sul loro valore nominale e

rimborsati dal Tesoro alla maturazione per il loro intero valore nominale.

Lei potrebbe essere interessato nell’accluso argomento sulla definizione di

“moneta”.

Spero che queste informazioni le siano utili.

Cordialmente,

Russel L. Munk

Assistant General Counse

(International Affairs)

Ancora una volta, sono gli stessi addetti ai lavori che dall’interno ci forniscono

le informazioni più preziose per squarciare questo velo di omertà che avvolge

la grande truffa dell’emissione monetaria come debito.

continua…

 

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Paolo Maleddu