GLI EUROCRATI AUTORIZZANO I BAILOUTS E I BAIL-INS

DI ELLEN BROWN
counterpunch.org

“Per come stanno le cose, il vero e permanente governo del paese è costituito dalle banche, qualsiasi partito sia al potere” – Lord Skidelsky, Camera dei Lords, Parlamento del Regno Unito, 31 Marzo 2011.

Il 20 Marzo 2014 i funzionari dell’Unione Europea hanno raggiunto uno storico accordo per creare un’agenzia unica per la gestione delle banche in fallimento. L’attenzione dei media si è concentrata sull’accordo che coinvolge lo “European Stability Mechanism” [ESM], un meccanismo comune per la chiusura delle banche fallite.

Ma la vera questione per i contribuenti e per i risparmiatori è la minaccia costituita da un accordo che autorizza entrambi i salvataggi, il bail-out ed il bail-in, ovvero la confisca dei fondi dei depositanti.

L’accordo prevede molteplici concessioni ai differenti paesi, e potrebbe essere illegale, secondo le regole del Parlamento dell’UE, ma è stato concordato in fretta e furia per “bloccare” sulle attuali posizioni i contribuenti ed i depositanti, prima che la disastrosa situazione delle banche dell’Eurozona vada ad esplodere.

Le clausole del bail-in sono state concordate la scorsa Estate. Bruno Waterfield, scrivendo sul Telegraph UK del Giugno del 2013, ha sostenuto che:

Secondo questo accordo, dopo il 2018 gli azionisti saranno in prima linea per coprire le perdite di una banca fallita, e subito dopo gli obbligazionisti ed i grandi depositanti. I depositi assicurati di entità inferiore a 100.000 Euro sono specificatamente esentati, mentre i depositi non assicurati, sia delle singole persone che delle piccole imprese, avranno il mero status di “credito privilegiato”, e caricati di conseguenza delle perdite … Secondo l’accordo, tutti gli obbligazionisti non garantiti subiranno delle perdite, prima che una banca possa aver diritto a ricevere delle iniezioni di capitale direttamente dall’ESM, peraltro senza alcun uso retroattivo di questo fondo, per i periodi precedenti il 2018.

Come avevo fatto notare in altri miei articoli, l’ESM [European Stability Mechanism] impone un debito “aperto” ai Governi membri dell’UE, ed sottopone i contribuenti a qualsivoglia richiesta degli euro-burocrati.

Ma non è solo l’Unione Europea ad avere in programma i bail-ins per le loro banche in difficoltà, “troppo grandi per fallire”. Ci sono anche Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda ed altre nazioni del G20.

Ricordiamo che negli Stati Uniti un depositante non è che un mero creditore chirografario [in Europa è invece un creditore privilegiato, ndt]. Quando si deposita denaro in una banca, questa “possiede” il denaro, ed il creditore non dispone che di una cambiale, ovvero di una mera promessa di pagamento.

In base alla nuova Unione Bancaria dell’UE, prima che lo ESM possa essere attivato, gli azionisti ed i risparmiatori dovranno essere caricati di una parte significativa delle perdite. I banchieri, in questo modo, saranno sempre vincitori: possono ottenere denaro sia dai contribuenti [intervento dello Stato, ndt] che dai  depositanti.

LA QUESTIONE IRRISOLTA DELL’ASSICURAZIONE SUI DEPOSITI

Ma almeno, si potrebbe dire, sono solo i depositi non assicurati ad essere a rischio [quelli oltre i 100.000 Euro, ovvero ca. 137.000 Dollari]. Giusto? Non necessariamente. Secondo “ABC News”:

L’accordo è un compromesso che si differenzia dall’idea originale di Unione Bancaria presentata nel 2012. La proposta originale aveva un terzo pilastro, l’assicurazione a livello europeo dei depositi. Ma quest’idea non è andata avanti.

Il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, parlando prima della riunione del 20 Marzo a Bruxelles, ha “salutato” questo piano di compromesso come “un grande progresso per ottenere una migliore Unione Bancaria. Due pilastri sono ormai stati posizionati” – i primi due, appunto, ma non il terzo.

I primi due pilastri non sono sufficienti, da soli, a proteggere le popolazioni. “The Economist” ha osservato, nel Giugno del 2013, che senza un’assicurazione sui depositi di livello europeo, l’Unione Bancaria sarà un fallimento:

Il terzo pilastro, purtroppo ignorato, doveva essere un comune regime di garanzia sui depositi, con i costi da condividere fra i vari paesi dell’Eurozona. I contributi annuali delle banche possono coprire i depositanti in anni normali, ma non possono proteggere in modo credibile un sistema in crisi [in America, il piano pre-finanziato non avrebbe coperto che un mero 1,35% dei depositi assicurati]. Qualsiasi sistema di deposito-assicurazione deve ricorrere al sostegno del Governo … L’Unione Bancaria – e quindi l’Euro – avrà poco senso senza questo sostegno.

Tutti i depositi, quindi, potrebbero essere soggetti al rischio-tracollo. Ma quanto è probabile che questo accada? Abbastanza probabile, a quanto pare …

CHE COSA GLI EURO-BUROCRATI NON VOGLIONO CHE VOI SAPPIATE

Mario Draghi è stato Vice Presidente della Goldman Sachs Europa, prima di diventare Presidente della BCE. Ha svolto un ruolo importante nel plasmare l’Unione Bancaria. Secondo Wolf Richter [Ottobre 2013], l’obiettivo di Draghi e degli altri euro-burocrati era solo quello di “bloccare” sulle loro posizioni i contribuenti ed i depositanti, prima che si scatenasse il panico sull’estrema vulnerabilità delle banche dell’Eurozona:

Le banche europee, come tutte le altre, sono state chiuse a lungo all’interno di ermetiche scatole nere … L’unica cosa che si sa, sui buchi di bilancio [provocati da assets che si sono tranquillamente decomposti] di queste scatole nere, è che sono profondi. Ma nessuno sa quanto lo siano. E a nessuno è permesso di sapere – almeno fino a quando saranno gli stessi euro-burocrati a decidere chi è che dovrà pagare per il salvataggio di queste banche.

Quando la BCE diventerà il regolatore delle 130 più grandi banche dell’Eurozona, continua Richter, dovrà sottoporle a valutazioni più realistiche, rispetto ai precedenti “stress tests”, che erano nient’altro che una forma di “agitprop bancario” [l’Agitprop era il dipartimento per l’agitazione e la propaganda del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ndt].

Ma queste realistiche valutazioni non avranno luogo fino a quando non sarà attivata l’Unione Bancaria. Come fa Richter a saperlo? Perché è lo stesso Draghi ad averlo detto:

L’efficacia di questo esercizio dipenderà dalla sottoscrizione dei necessari accordi per la ricapitalizzazione delle banche … anche attraverso la previsione di un back-stop pubblico [sostegno di ultima istanza, o acquisto di titoli non sottoscritti in un’offerta di azioni, ndt] … Questi accordi devono essere sottoscritti “prima” di effettuare le nostre valutazioni.

Per Richter tutto ciò si traduce in questo modo:

La verità non può essere conosciuta fino a quando gli euro-burocrati non avranno deciso chi è che deve pagare per i salvataggi. Fino a quel momento, gli esami alle banche non saranno completati perché, se uno qualsiasi di questi esami dovesse filtrare sui media – e Draghi non lo vuole – l’intero castello di carte crollerebbe [senza che i contribuenti siano disposti a pagare il conto], non appena le sue clamorose dimensioni venissero finalmente allo scoperto!

Solo dopo che i contribuenti ed i depositanti saranno stati incastrati sarà alzato il sipario, e sarà rivelata la paralizzante insolvenza delle banche. Prevedibilmente si diffonderà il panico, il credito andrà a bloccarsi e le banche crolleranno, lasciando che le popolazioni ignare paghino il conto.

COSA E’ SUCCESSO A NAZIONALIZZARE LE BANCHE FALLITE ?

Alla base di questi traffici frenetici, c’è la presunzione che le “banche zombie” debbano essere tenute in vita a tutti i costi – vive e nelle mani dei banchieri privati​​, che potranno continuare a speculare ed a raccogliere dei bonuses enormi, a scapito delle popolazioni, che dovranno farsi carico delle perdite.

Ma non è l’unica alternativa. Nel 1990 anche negli Stati Uniti l’aspettativa comune era che le mega-banche fallite sarebbero state infine nazionalizzate. Questo percorso è stato perseguito con successo non solo in Svezia ed in Finlandia, ma anche negli Stati Uniti, con il caso della Continental Illinois, che a quel tempo era la quarta più grande banca del paese, e costituiva, in assoluto,  il più grande fallimento.

William Engdahl, nel Settembre del 2008 scriveva:

In quasi tutti i casi recenti di crisi bancaria, quando è stato necessario intervenire d’urgenza per salvare il sistema finanziario, il metodo più economico per i contribuenti [come in Svezia o in Finlandia nei primi anni ‘90], si è rilevato quello della nazionalizzazione delle banche in difficoltà, e l’assunzione sia della gestione che degli assets … Nel caso svedese è stato stimato che il costo finale per i contribuenti sia stato quasi nullo.

Tipicamente, nazionalizzare significa farsi carico delle sofferenze della banca insolvente, rimetterla di nuovo in piedi, e restituirla ai proprietari privati​​, che a questo punto sono di nuovo liberi di mettere a rischio i soldi dei depositanti.

Ma sarebbe molto meglio mantenere le mega-banche nazionalizzate nella sfera “pubblica”, al servizio dei bisogni delle persone. George Irvin, nel Social Europe Journal del mese di Ottobre 2011, ha sostenuto che:

Il settore finanziario ha bisogno di molto di più che una semplice regolamentazione, ha bisogno di un ampio margine di controllo “pubblico”, ovvero di quella parola che comincia con la “n”: nazionalizzazione. La finanza è un bene pubblico troppo importante per essere gestito esclusivamente dai banchieri privati​​. Abbiamo bisogno, per lo meno, di una grande banca pubblica d’investimento, con il compito di modernizzare e rendere più “verdi” le nostre infrastrutture … Invece di cestinare l’Eurozona e tornare ad una dozzina di valute minori che fluttuano quotidianamente, diamo un Ministero delle Finanze [del Tesoro] all’Eurozona, con la sufficiente forza fiscale per provvedere a beni pubblici europei, a più posti di lavoro, a salari e pensioni migliori, ed infine ad uno sviluppo ambientale sostenibile.

LA TERZA ALTERNATIVA – DARE AL GOVERNO IL CONTROLLO DEL RUBINETTO DEI SOLDI

Un gigantesco difetto dell’attuale sistema bancario è che sono le banche private, e non i Governi, a creare [in pratica] l’intera offerta di moneta, e lo fanno attraverso la creazione di debito caricato degli interessi. Il debito cresce inevitabilmente in modo più veloce dell’offerta di moneta, perché gli interessi non vengono creati parallelamente al prestito originale.

Il problema è ancor più grave nell’Eurozona, perché nessuno ha il potere di creare ex nihilo il denaro necessario ad equilibrare il sistema, nemmeno la stessa Banca Centrale. Questo difetto potrebbe essere risolto sia consentendo ai singoli paesi di emettere individualmente moneta priva di debito o, come suggerito da George Irvin, dando all’Eurozona un Ministero del Tesoro dotato di questo potere.

La Banca d’Inghilterra ha appena ammesso, nel suo bollettino trimestrale, che le banche non prestano in realtà i soldi dei loro depositanti. Quello che prestano è il credito bancario che hanno creato sui loro libri. Negli Stati Uniti gli oneri finanziari su quest’importo di moneta-credito sono compresi tra il 30 ed il 40 percento dell’economia, a seconda del numero a cui si crede.

In un sistema monetario in cui il denaro viene emesso dal Governo, ed il credito dalle banche pubbliche, questo “rentiering” [affitto] può essere evitato. I soldi del Governo non sarebbero emessi nella forma di debito soggetto ad interessi, e qualsiasi onere finanziario a carico delle banche pubbliche rappresenterebbe un reddito per il Tesoro.
Nuovo denaro può essere aggiunto all’offerta di moneta senza creare inflazione, almeno nella misura dell’”output gap”, ovvero la differenza tra il PIL reale [o produzione effettiva] ed il PIL potenziale. Negli Stati Uniti, questa cifra è di circa 1.000 miliardi di Dollari l’anno, mentre per l’UE è di circa 520 miliardi di Euro [ca. 715 miliardi di Dollari].

Un Ministero del Tesoro dell’Eurozona potrebbe aggiungere questa somma alla fornitura di moneta-senza-debito, creando gli Euro necessari a dar vita a nuovi posti di lavoro, a ricostruire le infrastrutture, a proteggere l’ambiente ed a mantenere un’economia fiorente.

Ellen Brown è un’avvocatessa, fondatrice del “Public Banking Insitute” ed autrice di dodici libri, tra cui il bestseller “Web of Debt”. Nel suo ultimo libro, “The Public Bank Institute”, esplora i modelli bancari pubblici di successo, nella storia e nel mondo. E’ candidata  come “Tesoriere” per lo Stato della California, sulla base di un programma che prevede la creazione di una “banca di stato”.

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