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“Vogliono nasconderci la nostra storia! Ci vogliono pastori e basta, incazziamoci!”. È solo una delle tante, troppe voci che si levano dal web. E non importa se a pronunciarla sia “Gyus frey”, preso ad esempio per caso, oppure un altro nome.

A protestare a gran voce è tutta la Sardegna, terra che dovrebbe essere considerata un museo a cielo aperto, e che andrebbe salvaguardata e protetta.

Una regione che vanta la più alta concentrazione di resti archeologici, fra nuraghi, tombe, dolmen e menhir.

È il grido del popolo sardo, quello che si ode, stanco di essere “sepolto”, che si propone di tutelare i siti non valorizzati. Che vuole conoscere la sua storia.

Ennesimo scandalo, conseguenza di indifferenza ed errata gestione, è la colata di cemento con la quale si è voluto salvaguardare, a detta degli archeologi, da atti di vandalismo la necropoli scoperta nel 2002 nel parco Mariani di Bonorva, in provincia di Sassari.

Un sigillo che, almeno questa volta non ha posto garanzie. In realtà, il sito vige nel più completo stato di abbandono, poiché il cemento si sta sgretolando, consentendo all’acqua piovana di allagare le tombe il cui stato di conservazione rischia di essere seriamente compromesso.

I dipinti che risalgono a 5.000 anni fa, ritrovati in perfetto stato di conservazione, si trovano ad un passo dalla necropoli di Sant’Andrea Priu e dalla famosa Tomba del Capo, all’interno del parco Mariani.

Questo antico sepolcro detto Tomba della Scacchiera è solo uno dei numerosi studiati dagli archeologi sugli altopiani della Sardegna nord-occidentale, ma si contraddistingue per la straordinaria ricchezza delle sue decorazioni dipinte e scolpite sia sulle pareti, sia sui soffitti.

Il monumento di epoca neolitica può essere paragonato, per qualità e livello di conservazione, agli affreschi rinvenuti all’interno delle camere sotterranee dell’ipogeo di Hal-Saflieni a Malta.

La Tomba della Scacchiera è così denominata a causa della presenza di un motivo a scacchi bianchi e blu scuro sul soffitto di una delle celle, probabilmente in uso per raccogliere le spoglie dei parenti di una classe elitaria locale.

È composta da una camera principale, ampliata da tre celle laterali, alle quali si accede da un canonico portello aperto nella facciata ottenuta da un breve passaggio scavato nella roccia.

Le pareti della tomba sono dipinte con ematite di colore rosso acceso, con motivi curvilinei e rettilinei che comprendono una serie di sette spirali interconnesse.

Il sito, potrebbe essere stato intenzionalmente scelto per il panorama circostante: una profondissima vista spazia su diverse valli e sulla vasta pianura di Bonorva, modellata da antichi vulcani emergenti intorno alla parte ovest.

Queste colline e questi boschi hanno custodito per migliaia di anni un patrimonio archeologico inestimabile. Ora giacciono sotto una colata di cemento, che a prima vista sembra roccia granitica, ma che non è in grado di preservarne l’incolumità.

È indignazione fra gli abitanti della Sardegna, per quei rari reperti archeologici, “sigillati” e “messi a tacere” come se i sardi non avessero curiosità della loro storia.

Follia” avrà senza dubbio pensato la comunità archeologica mediterranea e mondiale. Forse un reperto troppo prezioso e difficile da gestire, così si è deciso di chiuderlo con una lastra di pietra, colarci sopra del cemento e della terra, quasi a voler dimenticare tutto. Gli spiriti dormiranno pure in pace, ma la nostra curiosità non ha tregua.

L’illustrazione della testa taurina sostenuta da spirali multiple presenti nella fantastica Tomba Sa Pala Larga anch’essa sigillata dopo la scoperta, (non si sa mai si approfondisca troppo del neolitico sardo), naviga letteralmente in pessime acque che, infiltrandosi dalla terra, oggi potrebbero aver totalmente sommerso quell’antica meraviglia.

In seguito agli scavi, anche gli ingressi delle principali tombe della necropoli di Sa Pala Larga sono stati sigillati da uno strato di cemento, in modo da nasconderne la presenza. Osservazioni compiute dal gruppo di esperti alla tomba numero 3 di Sa Pala Larga hanno riscontrato come il pavimento della camera del monumento sia allagato con almeno 10 cm di acqua stagnante.

L’effetto è devastante, perché la circostanza ha inevitabilmente creato profonde variazioni delle condizioni microclimatiche interne. L’acqua, assorbita per osmosi attraverso le rocce sedimentarie, risale sulle pareti e sta causando danni irreparabili, non solo al basamento roccioso, ma anche alle fragili superfici lavorate e dipinte dall’uomo nella detta epoca preistorica.

“Sigillare” un monumento che contiene un così ricco repertorio artistico, esponendolo ad un ben più rapido decadimento, non è etico ed è culturalmente restrittivo.

La convenzione europea conclusa a La Valletta il 16 gennaio 1992 per la protezione del patrimonio archeologico, dovrebbe essere quindi di gran lunga riconosciuta.

Nella storia alberga la memoria collettiva: essa è strumento di studio e di progresso. Solo chi conosce il proprio passato può aprire le braccia al futuro.

E la storia della Sardegna ha tanto da insegnare. Potrebbe restituire ai sardi la propria voce.

 

Scritto da Cristina Biocati

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