Questo per chi non ha ancora capito che buffonata è l’UE e cerca di ottenere l’indipendenza attraverso competizioni elettorali italiane. L’indipendenza bisogna prendersela e non metterla ai voti! E’ un nostro diritto naturale! Mettiamoci in testa una cosa: siamo in guerra! 

 

Il giurista Moavero: tocca alla politica dare risposte alle istanze catalane

 

Enzo Moavero, due volte ministro per gli Affari europei nei governi Monti e Letta è uno dei massimi esperti del diritto comunitario. Segue quanto sta accadendo a Barcellona e ragiona con «La Stampa» del domani.

I catalani hanno votato tra le violenze. E adesso?

«Vediamo immagini di tensioni notevole per una vicenda delicata. Su questioni come l’indipendenza, nella storia, si sono combattute guerre e se ne combattono ancora. In Catalogna si è creata una situazione complicata e ora è difficile fare previsioni. Quando ci sono scontri così, purtroppo si riscaldano gli animi e speriamo possano calmarsi».

L’Europa è apparsa in difficoltà. Cosa ci si aspettava da Bruxelles e cosa poteva fare?

«L’Unione europea, pur essendo un organismo molto presente nel nostro quotidiano, può agire solo dove gli Stati membri le hanno assegnato le competenze. In un caso come questo, c’è uno Stato membro che affronta una propria situazione interna, sulla quale ha l’esclusiva competenza giuridica e istituzionale; l’UE non ha nessuna competenza diretta. Anche quando nel 2012, nel Regno Unito ci fu l’accordo per il referendum sull’indipendenza della Scozia, l’UE non intervenne».

I catalani contavano di avere una sponda nei valori dell’UE.

«Questo tema può entrare nel dibattito ma in modo, per così dire, indiretto. Fra i valori fondamentali UE, ce ne sono due che possono essere pertinenti: la democrazia e lo Stato di diritto; e vanno valutati con peso analogo. Sul piano del diritto, la Corte Costituzionale spagnola reputa illegale il referendum catalano ed è quindi legittima l’opposizione del governo centrale. È poi vero che esprimere la volontà popolare con lo strumento del voto risponde ai dettami della democrazia, ma come valutarlo se avviene in un contesto d’illegalità? E’ arduo sostenere la chiara violazione dei valori UE».

Il progetto sia pur lontano di una federazione non contempla con l’Europa dei popoli un discorso sulla loro autodeterminazione?

«Sul piano politico e forse ideologico se ne può parlare. Ma su quello giuridico è diverso: l’autodeterminazione dei popoli, menzionata dalla carta dell’Onu, non appare come tale nei trattati UE. Questi non disciplinano competenze UE a tale riguardo. Del resto, negli anni, l’Europa ha convissuto con eterogenee situazioni riconducibili a istanze d’indipendenza: oltre al ricordato caso scozzese, c’è stata la tragedia dell’Irlanda del Nord, il terrorismo nei Paesi Baschi e la divisione pacifica della Cecoslovacchia».

Se la Catalogna spingesse per la secessione uscirebbe dalla UE?

«Con il referendum scozzese si discusse di questo. Visti i trattati UE, se una regione lascia lo Stato a cui appartiene e diventa indipendente, deve fare una domanda di ammissione all’UE anche se già ne faceva parte. È una lettura formalistica, ma logica. Poi, magari, l’iter di adesione potrebbe durare poco».

C’è il rischio che la Catalogna infiammi le altre braci indipendentiste sopite in Europa?

«I movimenti indipendentisti fanno parte della storia dei popoli. L’Europa non è ancora federale e per diventarlo avrà bisogno di un nuovo trattato. Anche per questo non era necessario regolamentare simili questioni. Del resto, l’UE ha competenze deboli sulla politica estera e di difesa e sulle tasse, questioni ancora appannaggio degli Stati membri. Insomma, non aspettiamoci che l’UE intervenga sempre; può farlo solo dove ha competenze specifiche. Per la tutela dei valori fondamentali avrebbe degli strumenti, ma ne va puntualmente provata la violazione grave».

E se la Catalogna lo provasse?

«L’articolo 7 del trattato UE parla di rischio evidente di violazione grave da parte di uno stato membro dei valori enunciati all’articolo 2 del trattato. Ma di nuovo: nell’articolo 2 si parla sia di democrazia e di diritti delle minoranze, sia di stato di diritto. E qui, pesa l’illegalità del referendum catalano».

Barcellona inizialmente premeva per maggiore autonomia. Non è previsto dalla UE?

«Tra i principi guida dell’azione UE, c’è la sussidiarietà; si prevede che se un obiettivo dell’Unione può essere raggiunto meglio con una azione locale è corretto agire a tale livello. Ma parliamo di atti esecutivi come avviene in Italia con regioni a statuto normale come il Piemonte e con quelle a statuto speciale come la Valle d’Aosta. La questione catalana di oggi è ben diversa. Comunque, le istituzioni europee potrebbero aiutare a calmare la situazione».

Che margini di flessibilità ha l’Europa nel mediare?

«L’Europa e gli Stati amici della Spagna possono impegnarsi per far ritrovare la serenità. È triste che nella UE, nata per la pace e per amalgamare popoli che si sono fatti la guerra fino a 70 anni fa, si riaccendano situazioni conflittuali che, anche sul piano interno o nella forma di tensioni sociali, riproducono quanto dovremmo aver oramai superato».

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