Nel 2010 la Corte Costituzionale ha annullato l’autonomia fiscale catalana perché se non l’avesse fatto la Spagna sarebbe fallita. Senza Barcellona, la Spagna non sta in piedi

 

Repressione brutale della Catalogna, a meno che Bruxelles non conceda robusti sgravi a Madrid. Perché la tempesta iberica è essenzialmente economica: la coperta è sempre più corta e, senza Barcellona, la Spagna non sta in piedi. Lo sostiene Jesus de Colon in un’analisi su “Scenari Economici”: prima ancora che una questione di lingua e cultura, la rivolta catalana nasce dalla volontà di smettere di sostenere finanziariamente le regioni più arretrate, come l’Andalusia e l’Estremadura. Ma senza i soldi della Catalogna, il tenore di vita spagnolo sarebbe destinato a crollare. Certo è normale che i catalani vogliano smarcarsi dalla Spagna, «il paese con più nobili in tutta Europa, a maggior ragione in presenza di notabili locali – a partire dai Borboni – che, si sa, non brillano troppo spesso di lucente intelletto». In Spagna, poi, sopravvivono inquietanti reliquie del franchismo: c’è «la presenza ingombrante e marziale della Legion, l’erede militare della Falange di Melilla», una milizia «protetta dalla Vergine, con cui sfila ogni Pasqua». In altre parole: comunque vada a finire, la situazione non sarà mai più come prima. E quello che sta per andare in scena potrebbe essere un brutto spettacolo, con molta violenza.

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Unità di intervento speciale della Guardia Civil

 

 

 

 

 

A differenza dei Paesi Baschi, «che hanno smesso di combattere solo dopo aver ottenuto l’indipendenza economica grazie a 35 anni di guerra», Barcellona quell’indipendenza se la può sognare, scrive l’analista di “Scenari Economici”, ricordando che ad aprire la vertenza fu José Maria Aznar, «che per governare si mise in coalizione coi catalani dovendo concedere l’indipendenza culturale, la lingua e il decentramento amministrativo, ma non quello economico». Poi i catalani «non servirono più», e rimasero in un angolo fino al 2006, quando il nuovo premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero, «con un mix di idealismo progressista unito al solito calcolo politico», fece nuove concessioni alla Catalogna. Ma attenzione: lo fece «in periodi di vacche grassissime». Per legge e con approvazione parlamentare, Zapatero concesse a Barcellona «anche l’indipendenza economica a termine, un po’ come accaduto in Italia con l’Alto Adige». Tradotto: i catalani potevano «tenersi la maggior parte delle tasse pagate nella regione». All’epoca, ricorda Jesus de Colon, «l’economia spagnola scoppiava di salute, dunque i calcoli dicevano che la baracca sarebbe rimasta in piedi comunque».

Poi è arrivata la tremenda crisi finanziaria mondiale, e nel 2010 la Corte Costituzionale ha annullato l’autonomia fiscale catalana: «Se non l’avesse fatto la Spagna sarebbe fallita», scrive “Scenari Economici”. Da quel momento «l’irredentismo catalano iniziò a decollare», per ragioni «squisitamente economiche». Ovvero: la Catalogna oggi vuole tornare a tenere per sé le proprie tasse, a maggior ragione dopo la crisi dei mutui sub-prime, per uscire dalla quale «Madrid ha obbligato tutti i lavoratori spagnoli a tirare la cinghia». E ora, visto che a Barcellona e dintorni i turisti affluiscono in massa, in una situazione che ha «costi europei ma stipendi spagnoli», la conclusione è quella che sta andando in scena: la ribellione. Secondo Jesus de Colon, le possibili soluzioni sono tre: Madrid si “suicida” finanziariamente lasciando le tasse a Barcellona, oppure ottiene in cambio importanti sgravi dall’Unione Europa, o più probabilmente – terza ipotesi – annulla l’autonomia catalana procedendo con la più brutale repressione del separatismo.

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Il leader catalano Carles Puigdemont

 

 

 

 

La prima ipotesi è pura fantascienza: senza i soldi di Barcellona, tutti gli spagnoli sarebbero costretti a ridurre ulteriormente il già declinante tenore di vita. Ma anche il Piano-B sarebbe poco realistico, perché incoraggerebbe altre disgregazioni in Europa.

Anche se l’Ue permettesse a Madrid ulteriori sforamenti di bilancio, non ci sarebbe più una situazione di equilibrio: i conti spagnoli non starebbero più in piedi come prima dell’ipotetica indipendenza catalana, «soprattutto in presenza di un eventuale neo-paese vicinale, appunto la Catalogna indipendente, che inevitabilmente si svilupperebbe molto di più della madrepatria». E in tal caso, aggiunge Jesus de Colon, anche l’Italia e la Grecia potrebbero accampare ulteriori pretetese di flessibilità nel bilancio, sulla falsariga della flessibilità spagnola. Di consegenza, l’analista considera di gran lunga più probabile la terza ipotesi – la repressione – vista «l’impossibilità materiale di Madrid di concedere i soldi (e il benessere) che i catalani di fatto pretendono». Per Madrid sarà inevitabile «soddisfare gli istinti “idealistici” castigliani», ovvero «i principi poco mediabili ereditati dal franchismo», con il mantenimento dello status quo: la Spagna unita. «In tal caso inevitabilmente ci sarà repressione». La misura della violenza? «Dipenderà dalla volontà di Barcellona di accettare la sconfitta: che dovrà essere piena». Il problema, chiosa l’analista, «sta nel fatto che un popolo, quando annusa la libertà e soprattutto quando gli viene fatto ben capire che è nel suo interesse, non viene mai veramente sconfitto: a meno di usare la forza bruta o di trucidarlo».

 

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