lunedì 29 settembre 2014

Madrid – Il governo spagnolo, riunito in seduta straordinaria, ha approvato il ricorso alla Corte Costituzionale contro il referendum sull’indipendenza convocato dal governo regionale catalano per il 9 novembre: lo ha reso noto il premier Mariano Rajoy, sottolineando come “niente e nessuno possa infrangere la sovranità dello Stato spagnolo”.

Rajoy ha definito il referendum “illegale” e “demagogico”, ritenendo che “vada oltre i limiti della democrazia”: “Non fa che dividere i catalani, li allontana dall’Europa e mette a rischio il loro benessere, senza parlare della frustrazione alla quale condanna una parte dei cittadini catalani spingendoli a partecipare a una consultazione che non potrà mai aver luogo”. La mossa del governo di Madrid era del resto obbligata e altrettanto obbligata sarà la sentenza della Corte, dal momento che in base alla Costituzione nessun governo regionale ha il potere di convocare un referendum. Il voto correrà quindi verosimilmente la sorte dell’unico precedente in materia – una consultazione promossa dall’ex presidente regionale basco Juan José Ibarretxe, bocciata sia dalle Cortes che dal tribunale.

Non sembra infatti che la differenza legale sottolineata dal governo catalano – e cioè che si tratti di un referendum meramente “consultivo” – possa fare breccia in una Corte costituzionale da sempre orientata verso la difesa ad oltranza dell’unità dello Stato, come dimostrato dal suo intervento sullo Statuto di Autonomia catalano che costituisce peraltro una delle principali radici della crisi odierna. L’Estatut approvato sotto il governo Zapatero e approvato dalle Cortes a maggioranza socialista con un regolare iter parlamentare venne infatti denunciato da alcuni gruppi dell’ultradestra con l’appoggio del Partido Popular e fortemente limitato dalla Corte, i cui giudici sono a maggioranza conservatori: un “vulnus” che Barcellona non ha mai perdonato, e che il successivo governo conservatore non ha fatto nulla per sanare.

Di fatto, l’esecutivo di Rajoy ha peggiorato la situazione con una polemica legge sull’istruzione che – secondo la Catalogna – ha l’obbiettivo di promuovere l’insegnamento in lingua castigliana a dispetto del vigente bilinguismo scolastico; né è stato trovato un equilibrio fiscale in grado di aumentare il grado di autosufficienza finanziaria della Catalogna, come accade al contrario per i Paesi Baschi (ai quali nemmeno la dittatura franchista, grata per l’appoggio della grande borghesia industriale, osò abolire i tradizionali “Fueros”, diritti di origine medievale).

Le due parti sono giunte dunque a un punto morto, un muro contro muro che ha favorito l’auge dell’indipendentismo, divenuto un’opzione maggioritaria in grado di mobilitare milioni di persone.

Di fronte all’intransigenza (anche ideologica) di Madrid il presidente catalano Artur Mas si trova ora ad un difficile bivio. Una prima possibilità è quella di far svolgere comunque il referendum del 9 novembre, esponendo però gli organizzatori (e i membri dei seggi elettorali) ad eventuali sanzioni amministrative o penali; l’alternativa è rinunciare alla consultazione e trasferirne il significato politico a delle elezioni regionali anticipate, dalle quali tuttavia il partito di Mas, il conservatore CiU, rischia di uscire nettamente sconfitto dagli indipendentisti di Erc, scenario che non farebbe che radicalizzare lo scontro.

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