Le ricerche condotte dal geofisico Gaetano Ranieri nel sito di Mont’e Prama: «Sedici ettari ancora da scavare». Resti dell’età del bronzo individuati grazie al georadar

 

 

Alcuni dei «Giganti di Mont’e Prama» oggi conservati nei musei di Cagliari e Cabras

 

 

 

 

 

 

 

di STEFANO BUCCI

Sedici ettari «nascosti» sotto la terra di un campo abbandonato nel Sinis di Cabras, Sardegna centro-occidentale, poco lontano dallo stagno dove nidifica il fenicottero rosa. È questa la piccola grande Pompei (che di ettari ne può contare ben quarantaquattro) scoperta in provincia di Oristano da Gaetano Ranieri, professore ordinario di Geofisica applicata presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari, già docente al Politecnico di Torino, grazie al georadar da lui messo a punto («una sorta di radar rivolto verso il sottosuolo» capace di guardare sotto la superficie) con cui è tornato a scandagliare il sito archeologico di Mont’e Prama.

Dove 45 anni fa (nel marzo 1974) erano stati ritrovati (per caso) i primi di quei diecimila frammenti di pietra che, dopo le successive compagne di scavo del 1975-1979 e del 2014-2017 (e i relativi restauri), avrebbero col tempo dato vita ai 27 Giganti di Mont’e Prama (arcieri, guerrieri, pugilatori), ai sedici modelli di nuraghe e ai nove «betili» (una sorta di pietra sacra). Un patrimonio (risalente a un periodo compreso tra il 950 e il 730 a.C. e quindi più antico di Pompei) attualmente diviso tra il Museo archeologico nazionale di Cagliari (dove è custodita gran parte dei Giganti) e il Museo civico Giovanni Marongiu di Cabras.

 

 

La mappa dell’area archeologica di Mont’e Prama eseguita da Gaetano Ranieri (foto da «La Nuova Sardegna»)

 

 

Come raccontato da «La Nuova Sardegna», in occasione della presentazione alla Fondazione di Sardegna di Sassari della lunga ricerca eseguita da Ranieri (24 settembre), in quel campo abbandonato e nel contiguo vigneto impiantato dopo gli inizi degli scavi che di fatto nascondono uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo, ci sarebbe un universo ben più esteso dei 750 metri quadrati finora censiti dalla Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari e Oristano.

 

 

Gaetano Ranieri

 

 

 

Secondo l’«ecoscandaglio terrestre» (altra possibile definizione del georadar) l’area sarebbe infatti di ben 16 ettari. Definita dalle migliaia di «anomalie» individuate proprio grazie al georadar: in particolare da quelle che Ranieri (coadiuvato nella sua ricerca dagli archeologi dell’Università di Sassari) definisce «anomalie organizzate» ovvero «linee rette che sembrano strade, case, templi, aree delimitate che possono essere stanze di edifici anche di grande dimensioni» nonché «120 tombe ancora da scavare». Una megalopoli nata tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio di quella del ferro (tra il 950 e il 730 a.C.) ricostruita attraverso una serie di modelli 3D. Un’area talmente ampia che, per Ranieri, se i tempi dovessero essere «gli stessi con cui si sono mossi gli archeologi da quando sono saltati fuori i primi frammenti dei Giganti, ci vorrebbero 4 mila anni per scavare».

Attualmente, racconta ancora l’articolo della «Nuova Sardegna», il destino del sito archeologico di Mont’e Prama è però ancora tutto da definire: la «casa» dei Giganti è sempre nascosta sottoterra mentre gli scavi promessi per l’avvio di (questa) estate non sono mai iniziati nonostante il finanziamento sia stato, a quanto pare, già erogato. Secondo Ranieri, da tempo in attrito con la Soprintendenza, «è assolutamente necessario un vincolo archeologico» visto che si tratta «di un’area in cui sono stati finora effettuati tantissimi ritrovamenti, diverse campagne di scavo e ricognizioni che hanno indicato in maniera evidente la presenza di reperti ancora da portare alla luce».

Aspettando buone notizie per il sito archeologico dei Giganti, il georadar del professor Ranieri ha intanto già individuato le tracce di un possibile complesso nuragico a dieci metri di profondità nello stagno di Cabras (quello dei fenicotteri rosa) mentre dall’ipogeo della vicina San Salvatore di Sinis, dalle mura delle stanze in cui si praticava il culto dell’acqua, sarebbero saltate fuori le immagini di una nave romana, di divinità latine e (persino) un disegno che sembrerebbe raffigurare l’eruzione del Vesuvio. E ancora una volta l’ombra di Pompei compare all’orizzonte di Mont’e Prama.

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