Mentre il presidente russo Vladimir Putin, ed altri leader mondiali, si sforzano per sancire una visione di speranza per l’umanità’, una visione che poggia le sue basi sulla cooperazione, l’associazione e lo sviluppo comune gli USA non offrono niente altro al mondo ad eccezione di paura, insicurezza e guerra.

Gli Stati Uniti sono l’incarnazione della negativa utopia orwelliana, dove la pace e la fratellanza sono cose da essere considerate con disprezzo, incluso denigrate come un qualche cosa di stupidamente ingenuo.

 

 

 

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di Finian Cunningham

 

Avete notato come gli esponenti dell’amministrazione USA sembrano essere capaci ogni momento di parlare costantemente circa la guerra, guerra e sempre guerra? Dall’altra parte la Russia e la maggior parte dei paesi del mondo stanno parlando di associazione, di sviluppo, di integrazione, di progresso, di prosperità e di pace. Cosa si prepara per l’umanità, la pace o la guerra?

I dirigenti nordamericani sono fossilizzati su una apparente routine mentale di ostilità, di sospetti, di inimicizia e di guerra. Guardateli negli occhi. Quello che offrono è un tunnel senza uscita di rassegnazione, senza progresso, senza umanità e soltanto di conflitto permanente.
In contrasto con questo, il presidente russo Vladimir Putin, ed altri leader mondiali, si sforzano per sancire una visione di speranza per l’umanità’, una visione che poggia le sue basi sulla cooperazione, l’associazione e lo sviluppo comune.

Il problema con gli esponenti ufficiali dell’amministrazione USA è’ che seguitano a restare ancorati ad una mentalità’ che fa data a secoli addietro quando presupponeva il diritto o la giustificazione per schiavizzare milioni di persone e sterminare le popolazioni originarie nelle loro terre. Nell’attualità alcuni Stati nordamericani potrebbero stare ammainando la bandiera confederata come simbolo di razzismo genocida, ma in altre parti, se ascoltiamo i dirigenti americani, vedremo che la stessa mentalità’ genocida e di pretesa supremazia prevale, incluso quando è’ articolata da parte di un presidente afroamericano.

Nei giorni scorsi abbiamo visto un esempio disgustoso di quanto sia ritardata e nichilista la visione ufficiale degli esponenti dell’amministrazione USA. Davanti al Senato nordamericano è comparso il presunto prossimo comandante di Stato Maggiore unificato, Joseph Dunford, fornendo testimonianza previa alla sua nomina ufficiale.

Il capo dello Stato Maggiore integrato è il più alto livello delle forze armate degli Stati Uniti che consiglia il presidente ed il Consiglio Nazinale della Sicurezza circa tutti gli aspetti della guerra e molto poco circa la pace. Nell’ascoltare la visione mondiale di Dunford, una persona di senso comune potrebbe pensare che gli USA si trovino sotto una minaccia incombente che provenga da ogni angolo del pianeta. Una minaccia, insicurezza, pericoli. timori, nemici, morte, distruzione, ecc. ecc. La visione globale ed ufficiale degli Stati Uniti è quella di un interminabile incubo dove perversi spettri e demoni stranieri stiano in agguato.

Alla testa di una lista di nemici fatta da Dunford troviamo la Russia, la quale, secondo lui, rappresenta la minaccia più grande alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, aggiungendo che – per quanto senza dimostrarlo- che “il comportamento della Russia è quanto meno allarmante”.

Il comandante in capo del corpo dei marines ha detto ai senatori che “se voi volete parlare di una nazione che potrebbe rappresentare una minaccia esistenziale contro gli USA, io segnalerei la Russia”.

Dunford ha inquadrato la sua premonitoria valutazione su documenti allegati ed infondati circa il coinvolgimento russo nella guerra civile dell’Ucraina ed ha denunciato una aggressione straniera senza fornire alcuna prova di intelligence o evidenza, allo stesso modo di come sono stati a ripetere le medesime accuse un numero indefinito di dirigenti nordamericani che hanno ripetuto queste accuse nel corso dell’anno trascorso. (Naturalmente nessuno ha nominato il golpe in Ucraina promosso dagli USA e tanto meno il regime neo nazista patrocinato dagli Stati Uniti che sta facendo la guerra contro i suoi compatrioti dell’est).

Per dimostrare che le opinioni di Dunford non costituiscono una eccezione male informata, dobbiamo soltanto ricordare l’ultimo documento di Strategia Nazionale Militare degli Stati Uniti pubblicato la settimana scorsa, in cui una identica visione di minacce, di nemici e di altre forze oscure fu anche allora pubblicata. Questo documento rappresenta la posizione ufficiale degli Stati Uniti e la loro visione globale, Una volta di più, la Russia è stata nominata come la minaccia alla sicurezza assieme alla Cina ed all’Iran.

Adesso bene, mettiamo in contrasto questa mentalità nordamericana con quella di altre nazioni e dirigenti mondiali. Mentre Dunford avvisava circa i nemici esistenti davanti al Congresso, dall’altra parte del mondo, i leaders dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia erano riuniti nella città di Ufa in Russia per assistere alle conferenze congiunte dei BRICS (Brsile, Russia, India, Cina e Sud Africa) della SCO (Shangai Coperation Organization) e della EEU (Eurasian Economic Union). Dirigendosi alla sessione plenaria, il presidente russo, Vladimir Putin, ha dato il benvenuto ai leaders ed ai delegati di decine di paesi. Putin ha esortato tutte le nazioni associate a costruire un mondi sulla base di una “associazione giusta”, di “mutuo rispetto”e di “sviluppo sostenibile”.
Allo stesso modo, dirigendosi ai delegati, il presidente cinese, Xi Jinping, ha fatto sua la visione di Putin circa un mondo multilaterale ed interdipendente sulla base di una “associazione in profondità”. Il leader cinese ha segnalato che “il mondo necessita di abbandonare la mentalità della Guerra Fredda e dei giochi di somma zero con l’oggetto di salvaguardare in forma congiunta la pace e la stabilità regionale ed internazionale”. Ha indicato che non si deve considerare accettabile che alcuni paesi proferiscano minacce e sanzioni contro altri. Una simile attitudine bellicosa, ha aggiunto Xi Jimping, è risultata controproducente ed in realtà aumenta le tensioni, l’insicurezza ed il conflitto. Il leader cinese non ha menzionato direttamente il nome di questi paesi ma tutti sapiamo a quale paese si riferiva: gli Stati Uniti.

Tuttavia, in modo simile a Putin, il tema centrale di Jimping è stato positivo e denso di speranza per l’umanità, un tema che ha insistito nello”sviluppo comune”, nella “associazione economica” e nella” condivisione di interessi comuni”.

La crescente associazione economica e di sicurezza dei BRICS e della SCO e della EEU, dimostra che la visione di associazione che questi leaders promuovono non è meramente vuota retorica che punta a generare titoli di stampa per sentirsi bene. Nessuno pretende che questi paesi siano un bastione di perfezione ed armonia. Si necessita di molto sviluppo in ogni livello. Tuttavia la premessa di base dello sviluppo comune ed il bene comune si trova lì, ed anche la relazione di armonia e di cooperazione fraterna, di fiducia e pace per tutti.

La nostra opinione qui è che la riunione in Russia dimostra che l’umanità ha cambiato la sua aperta coscienza separandosi dalle strette rivalità scioviniste verso un altra di interdipendenza e cooperazione. Non si tratta solo di retorica e di aspirazioni ma di una pratica concreta. Tutti i paesi che hanno assistito ai vertici in Russia hanno sofferto le conseguenze di guerre in altri momenti del passato e nessuno come la Russia che ha perso quasi trenta milioni di persone durante la II Guerra Mondiale. (……………..)

Una simile visione di sviluppo e di pace, manifestatasi nel corso delle riunioni in Russia, risulta attuabile e di fatto lo si sta dimostrando attraverso le nuove relazioni internazionali che si stanno forgiando attraverso i BRICS , la SCOe la EEU per il miglioramento delle rispettive popolazioni – che collettivamente costituiscono la maggioranza della popolazione del mondo.

Quale contrasto appare tra Putin, Jinping e molti altri leaders mondiali con le teste pensanti degli Stati Uniti!

Il presidente nordamericano, Barack Obama, è propenso a cospargere la sua retorica con ogni tipo di eufemismo e una florida prosa, ma nel fondo tuttavia parla come la maggior parte dei funzionari di Washington circa un mondo di minacce, di pericoli, di nemici per i quali gli Stati Uniti devono stare in eterno, in modo unilaterale, supremamente poderoso per lanciare guerre quando vogliono e dove vogliono, quando sia un loro desiderio.

Alla fine gli USA non offrono niente altro al mondo ad eccezione di paura, insicurezza e guerra. Gli Stati Uniti sono l’incarnazione della negativa utopia orwelliana, dove la pace e la fratellanza sono cose da essere considerate con disprezzo, incluso denigrate come un qualche cosa di stupidamente ingenuo.

Per quale motivo gli USA non possono evolvere assieme al resto dell’umanità ed abbracciare il mondo come un luogo bello e generosamente abbondante dove tutti possiamo vivere assieme in pace ed in cooperazione?

Prima che si cerchi di dare una risposta a quanto scritto in precedenza, la domanda dovrebbe essere un tanto analizzata. Perchè l’atteggiamento ufficiale nordamericano risulta così pieno di aggressività e timori, guerre e distruzione? Perchè le reazioni internazionali si sono sempre presentate in condizioni di demonizzare e degradare gli altri? Cosa ci sarebbe di evasivo nella cooperazione, il comune senso dell’umanità e la pace?

Gli Stati Uniti non si sono mai assunti la responsabilità della loro origini sul genocidio (dei nativi) o delle guerre di genocidio che hanno portato a termine nella maggior parte dei loro 250 anni di storia come nazione. I loro crimini sono stati coperti di menzogne e negazioni. Gli Stati Uniti non hanno mai preso coscienza del fatto che la loro economia capitalista, perchè possa funzionare, richiede la loro egemonia e lo sfruttamento delle risorse in forma imperialista. La loro impostazione verso gli schiavi e lo sterminio dei nativi nel passato, attualmente viene incarnata attraverso la descrizione del mondo che fa Washington, insidiando assieme nemici disumanizzati che devono essere conquistati, soggiogati e, se necessario, finalmente eliminati.

L’arroganza e l’ignoranza dell’atteggiamento ufficiale nordamericano non ha limiti. Il paese viene diretto da presidenti, esponenti parlamentari, candidati presidenziali e generali che sono al servizio di grandi corporations private e raccontano narrazioni di terrore loro stessi al proprio popolo per giustificare il loro colossale, bellicista e criminale saccheggio del pianeta.

Nonostante questo i dirigenti nordamericani pensano di essere molto liberali e virtuosi. Disgraziatamente molti, troppi cittadini nordamericani comuni, sempre più oppressi, credono al brutto mondo di fantasia che gli è stato inculcato dai loro governanti dell’oligarchia al potere.

La verità è che i leaders nord americani non sono altro che governanti barbari vestiti con abiti di lusso, avrebbero bisogno di evolversi con il resto dell’umanità. Tuttavia l’evoluzione passa attraverso un processo di umiltà, di solidarietà e di ricerca della verità. Nell’ufficialismo nordamericano non esiste una simile dialettica. Esiste soltanto un canale senza uscita di morte di strage e di paura, guerra e paura.

Se non è possibile una evoluzione negli Stati Uniti, allora quello di cui hanno bisogno è di una rivoluzione che permetta all’umanità di progredire e liberarsi della paura e della guerra.

tratto da: (clicca qui)

2015.07.22 – IL MLNS È L’ENTE RAPPRESENTATIVO DEL POPOLO SARDO

Posted by Presidenza on 22 Luglio 2015
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TESTATA  PRESIDENZA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casteddu, 22 Luglio 2015

IL MLNS È L’ENTE RAPPRESENTATIVO DEL POPOLO SARDO

Il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu (MLNS) rappresenta l’ente organizzato del popolo sardo in lotta per l’autodeterminazione.

Come tutti i movimenti di liberazione nazionale ha diritto di essere riconosciuto fra gli enti non territoriali che aspirano a divenire organizzazioni di governo di una comunità territoriale.

Esistono esempi di movimenti di liberazione nazionale che sono riusciti ad ottenere un controllo effettivo su una porzione di territorio e sulla collettività che vi è stanziata; il loro rilievo internazionale però non è condizionato al fatto di riuscire ad esercitare un potere di governo su un territorio, e dunque al principio di effettività, ma trova il suo fondamento su un diverso principio giuridico che è quello di autodeterminazione dei popoli.

MLNS, è quindi l’ente rappresentativo del popolo sardo che è sottoposto all’occupazione coloniale e razzista straniera italiana e, come tale, mira a partecipare alla vita sociale internazionale, prendere parte ai lavori di organizzazioni internazionali e partecipare a conferenze internazionali.

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), ad esempio, ha goduto dello status di osservatore in seno all’Assemblea Generale ed è stata presente, senza diritto di voto, in tutte le conferenze internazionali convocate sotto il patrocinio delle Nazioni Unite (dal 1988 l’OLP è presente in seno all’Assemblea Generale con il nome di Palestina).

MLNS ha la potenzialità giuridica e la personalità internazionale per concludere accordi, come ha già iniziato a fare, soprattutto riguardo allo svolgimento delle ostilità contro il governo costituito o alla costituzione del futuro Stato.
Tra il governo costituito e il popolo in lotta per l’autodeterminazione, si è affermata sul piano del diritto consuetudinario la regola per la quale il governo costituito non può usare la forza per privare il popolo del diritto all’autodeterminazione.

La repressione che lo Stato straniero italiano esercita sul MLNSricordiamo l’incursione armata della DIGOS italiana presso le nostre sedi abitative e istituzionali il 13 marzo 2015 – e quindi su tutto il popolo sardo, utilizzando mezzi coercitivi nella lotta contro un popolo soggetto a dominio coloniale, razzista o ad occupazione straniera è dunque illecita in quanto contraria al principio di autodeterminazione.

Il diritto consuetudinario vigente vieta agli Stati terzi di intervenire a favore del governo costituito (in questo caso quello italiano), sia per quanto riguarda l’intervento armato sia per quanto riguarda ogni altra forma di assistenza (ad es. la fornitura di materiale bellico o il supporto logistico), il cui scopo sia quello di facilitare l’azione repressiva del governo costituito.

Varie risoluzioni dell’Assemblea Generale attribuiscono invece ai MLN con la forza del loro diritto all’autodeterminazione – cioè i popoli sotto dominazione coloniale, razzista o straniera – il diritto di ricevere assistenza dagli Stati terzi nel corso della lotta di liberazione nazionale (c.d. diritto di resistenza).

Questo diritto è esplicitamente riconosciuto dalla Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970 e da quella sulla Definizione dell’Aggressione del 1974.
Vi è però un netto contrasto relativamente alla più precisa individuazione del contenuto di tale diritto. Mentre a parere degli Stati afro-asiatici e degli allora Stati socialisti i terzi potrebbero intervenire militarmente, in modo diretto o indiretto, a fianco del MLN, gli Stati occidentali sono fermi nell’asserire che i terzi possono concedere esclusivamente aiuti di natura umanitaria.

Sergio PES (Presidente MLNS e GSP)

 

2015.07.22 – IL MLNS È L’ENTE RAPPRESENTATIVO DEL POPOLO SARDO

 

C’è un solo paese al mondo accusato e condannato di terrorismo dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, il 27 Giugno 1987, per il supporto dato a truppe irregolari nel tentativo di abbattere il governo del Nicaragua eletto dal popolo: gli Stati Uniti d’America.

 

Tratto da: “La Grande Truffa” di Paolo Maleddu

 

Noi abitanti dei paesi “sviluppati” viviamo all’interno di un contenitore che è rappresentato dalla nostra cultura occidentale; il nostro pensiero “libero” è in verità intrappolato al suo interno. Questa cultura ci viene imposta dagli schermi televisivi in un rapporto autoritario (non ammette repliche) e unilaterale (solo da loro a noi), secondo i voleri dei manovratori.
La televisione è la telecamera che i padroni hanno messo in ciascuna delle nostre case. Non siamo noi che guardiamo lei, è lei che controlla noi.

Se l’annunciatore del telegiornale dice, mentre scorrono sullo schermo immagini di guerra, che un missile “intelligente” ha fatto saltare in aria a Gaza un’automobile con cinque “terroristi” palestinesi a bordo, noi facciamo nostra quella notizia così come ci viene data.
La assimiliamo passivamente come verità. Lo ha detto la televisione, c’è scritto sul giornale.
Magari c’erano a bordo un padre di famiglia con la moglie e tre bambini che andavano a cena dai nonni. È una zona in piena guerra, è difficile distinguere tra informazione e propaganda.
La versione dei media arabi naturalmente non arriva a noi occidentali.
Sicuramente erano palestinesi, visto che si trovano nella loro terra, simpatizzanti della loro causa, e per ragioni comprensibili magari odiano quegli israeliani che stanno distruggendo il loro paese e le loro vite.
Hanno tutte le caratteristiche per essere qualificati, badate bene, dai loro nemici, dei “terroristi”.
Lo sono veramente?
Si possono definire terroristi coloro che difendono la propria patria da una invasione?
Sono terroristi.
L’ha detto il TG uno.

C’è un solo paese al mondo accusato e condannato di terrorismo dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, il 27 Giugno 1987, per il supporto dato a truppe irregolari nel tentativo di abbattere il governo del Nicaragua eletto dal popolo: gli Stati Uniti d’America.

Una condanna chiara, emessa dal tribunale internazionale delle Nazioni Unite.
Gli Stati Uniti, sono l’unico paese che non ha praticamente avuto periodi di pace da quando, nel Dicembre del 1941, si videro “costretti” a dichiarare guerra al Giappone per l’atteso attacco di Pearl Harbour, 70 anni orsono.
O forse da quando, con il pretesto dell’affondamento del “Lusitania”, riuscirono ad entrare nella Prima Guerra Mondiale.
Le sue guerre continue, Corea, Vietnam, Cambogia, Laos, Afghanistan e Iraq le più sanguinose, hanno provocato almeno sei milioni di morti (secondo le stime più recenti e benevole), ai quali sommare milioni di sfollati e terribili sofferenze nei paesi aggrediti.
Naturalmente tutte queste morti sono pressoché scomparse dalla storia ufficiale/virtuale di cinema, stampa e televisione.
Nessun giorno della memoria per loro.
Se ci fate caso, dopo il Vietnam morti e feriti, sia civili che militari, sono scomparsi dagli schermi televisivi.
Per eguagliare il budget militare degli Stati Uniti pare sia necessario sommare quelli di tutti gli altri paesi della terra. Il loro strapotere militare è devastante.
Hanno tra 800 e 900 basi militari sparse nel mondo. Sono la più potente macchina da guerra mai apparsa sul nostro pianeta, ed è questo il principale motivo per il quale nessun paese vuole entrare in contrasto con loro.

Obbligati per motivi economici ad essere sempre in guerra, dopo la scomparsa dei comunisti gli Stati Uniti d’America si devono letteralmente inventare i nemici da combattere.
Ricordate le dichiarazioni dei “neocon” secondo le quali con le invasioni di Afghanistan e Iraq si iniziava una guerra contro il “terrorismo” della quale non avremmo visto la fine nel corso delle nostre vite? Cercate e leggetevi in internet il “Pnac, project for a new american century”.

Nel 1983, la prima potenza militare del pianeta si vide in grande pericolo, minacciata dalla costruzione di un aeroporto turistico a Grenada, un’isola dei Caraibi di ben 344 km quadrati di estensione. Costretti a difendere la sicurezza nazionale di quasi 300 milioni di americani, gli Stati Uniti occuparono l’isola, protetta da un esercito che tra militari e poliziotti, non arrivava a 1500 uomini.
Ora è un paradiso fiscale con 118 banche per 99.000 abitanti circa.

Il terrorismo è il nemico ideale: essendo solamente un concetto mentale soggettivo e opinabile, vago e sfuggente, oggi, con l’aiuto di cinema, televisioni e giornali, si può impunemente affibbiare l’appellativo di stato “canaglia” o “terrorista” all’Afghanistan ed all’Iraq, all’Iran, alla Corea del Nord ed alla Libia. Domani potrebbe essere il turno della Somalia, del Sudan, del Venezuela e così via.
Il procedimento per “creare il nemico” con il sempre più decisivo apporto di stampa e tv è sempre lo stesso: demonizzazione dei personaggi nel mirino (talebani, Saddam Hussein, Chavez, Ahmadinejhad, Gheddafi) con appellativi come despota, dittatore, sanguinario, colpevole di narcotraffico, terrorismo e violazione dei diritti umani ai danni di minoranze oppresse e disperate che “chiedono” aiuti esterni. A questo punto “l’opinione pubblica” creata ad hoc dai media è pronta ad accettare il giusto intervento militare anglo-americano per ristabilire democrazia e “pax americana”.

Sentendosi minacciati, e grazie all’altro concetto fatto in casa di “guerra preventiva”, gli Stati Uniti si sono arrogati il diritto di attaccare chiunque in qualsiasi parte del pianeta, a proprio piacimento e secondo gli obiettivi da raggiungere, con i droni e le nuove “mini bombe nucleari”, ultimi gioielli prodotti dalla ricerca bellica.
Guerre stellari, insomma.
Hollywood!

Ciononostante, la versione politicamente corretta alla quale siamo stati educati e che media e politici di destra e di sinistra continuano a passarci è che gli Stati Uniti d’America sono la più grande democrazia mondiale, i paladini della libertà e della giustizia, i “buoni” che combattono senza sosta i “cattivi”.
L’immagine che il cinema di Hollywood ha cristallizzato nella nostra mente.
Il mondo virtuale che ha la meglio su quello reale.
Totale stravolgimento della rappresentazione dei fatti.
La rappresentazione al posto della realtà.

Così l’unico paese ufficialmente riconosciuto come terrorista, può continuare ad indicare arbitrariamente al mondo quali siano gli stati terroristi, attaccarli, sterminarne le popolazioni e raderli al suolo con l’aiuto degli altri paesi “civili”.
Chi potrebbe impedirglielo?

2015.07.18 – Il dibattito intorno all’Ossezia del Sud

Posted by Presidenza on 18 Luglio 2015
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Il Rappresentante Ufficiale del Mae Ossezia del Sud in Italia, il dott. Mauro Murgia, spiega le problematiche di questo Stato e il ruolo di questo contesto geografico con il diritto internazionale

 

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Molte sono le problematiche del territorio caucasico dalla fine dell’epoca sovietica. Tra queste ritroviamo il territorio dell’Ossezia del Sud, rivendicata dalla Georgia ma di fatto indipendente. Per comprendere meglio le problematiche di tale territorio e il ruolo di questo contesto geografico con il diritto internazionale ne parliamo con il sociologo Mauro Murgia, dal 2013 rappresentante ufficiale del Mae Ossezia del Sud in Italia.

Come nasce l’Ossezia del Sud, quale è il suo ruolo nel contesto caucasico e cosa chiede alla comunità internazionale?

“Gli Osseti sono un popolo antichissimo il quale è del tutto differente da ogni razza circostante. Non Sono essi, al pari dei Circassi, un popolo misto, ma costituiscono uno stipite primitivo, schietto, inalterato, non misto ad alcuna razza, il quale discende in linea retta da uno dei figlioli di Jafet. Questo figlio chiamavasi Oss, ed essi si dicono in loro linguaggio Ossi”. (G.G. Khol, 1828). Basterebbe questa piccola citazione, per chiarire immediatamente che, quando si pensa e si parla di Ossezia ed osseti, ci si riferisce ad un Popolo, con propria lingua, territorio storico ed amministrazione autonoma. L’Ossezia del sud ha pagato e paga, ancora oggi, il suo essere centralità Caucasica, il suo essere crocevia. La Georgia, per quasi 100 anni, ha tentato in tutti i modi di impossessarsene, complice l’Urss e, complice, dopo, un occidente attento più allo smembramento della ex Urss, che ai diritti dei popoli. L’Ossezia del Sud, oggi, dopo i massacri subiti, il genocidio ad opera georgiana del 20 giugno del 1920 e, dopo la guerra di liberazione (come altro chiamarla) terminata nel 1992, i profughi, nell’ordine di centinaia di migliaia, costretti a rifugiarsi nell’Ossezia del Nord, e l’ultima, nell’ordine di tempo, aggressione del 2008, tenta faticosamente di percorrere una propria strada di Stato autonomo e di riconoscimento internazionale. Secondo i parametri di Montevideo, l’Ossezia del Sud ha il diritto al riconoscimento internazionale ma, questo non sembra smuovere la comunità internazionale.

Da quanti Paesi è riconosciuta e quale è il suo “status” in ambito di diritto internazionale e in sede di Nazioni Unite?

Solo nel 2008, la Russia di Putin, dopo la tragica aggressione georgiana che è costata tanti morti anche alla stessa Russia, ha riconosciuto l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. Seguita da Nicaragua e Venezuela e, poi, Vanuatu, Nauru e Tuvalu. Lo Status internazionale è paradossale, stante i riconoscimenti esistenti e, l’Onu che continua a definire Ossezia del sud, Repubblica “de facto”. La strumentalità di questa situazione viene dall’evidenza della impossibilità del parlare. L’Onu non concede diritto di parola. Non concede la possibilità del presentare le proprie ragioni. Così in Europa e in tutti gli organismi internazionali. La Georgia parla e parla, mentre le due Repubbliche Caucasiche, Ossezia del Sud e Abkhazia, vengono costrette al silenzio. Solo nei colloqui di Ginevra, che si tengono ogni 4 mesi, con georgiani, americani, Ue, Russia, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia possono parlare ma, dopo più di venti colloqui in questi anni, niente cambia e i georgiani rifiutano di sottoscrivere un patto di non aggressione.

Anche il Partito Radicale è intervenuto in tale contesto, attraverso Marco Perduca che da deputato aveva presentato un’interrogazione sulla questione del rifiuto dei visti agli abkhazi ed osseti del sud. Ci può spiegare meglio la problematica?

Sì, il Partito Radicale ed il bravo, mi si permetta di dirlo, senatore Marco Perduca, si sono impegnati per cercare di risolvere questa grave situazione. Nella scorsa legislazione Marco Perduca ha speso il suo tempo per i diritti delle Repubbliche Caucasiche, organizzando un incontro (cosa non facile e scontata) tra il presidente della Commisione Affari Esteri del Senato, Lamberto Dini e il ministro degli Esteri della Abkhazia presente in Italia e, lo stesso senatore, senza alcun indugio ha dichiarato che le Repubbliche hanno diritto al riconoscimento internazionale e, se ciò non avviene, è perché le ragioni geopolitiche e il confronto-scontro occidente e Federazione Russa, lo impediscono. Si tratta, quindi, di Paesi schiacciati nei propri diritti da logiche che niente hanno a che vedere con la ragione elementare del riconoscimento. Inoltre, il Senatore Perduca ha presentato una interrogazione al Ministro degli Esteri, chiedendo il perché e le motivazioni dei costanti rifiuti della concessione dei visti ad osseti ed abkhazi, che intendevano recarsi in Italia per studio o affari. Questa dei visti, è una storia esemplare per comprendere quella che io definisco la “stupidità politica europea”. Il Rifiuto del visto agli studenti, (come nel caso dei 10 studenti abkhazi che dovevano recarsi in Assisi per un anno, per un corso di studio), rappresenta l’accondiscenza pedissequa ai voleri Usa e georgiani, nell’accanimento contro tutte le istanze dei popoli caucasici. Solo un mese orsono, l’Ungheria non ha concesso il visto ad una squadra di calcio abkhaza, che doveva partecipare ad un torneo internazionale. Ecco, quindi, la sostanza quotidiana del vivere in Ossezia del sud e Abkhazia: l’impossibilità di movimento verso l’Europa ed altri Paesi.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontri in Italia nello svolgere il tuo ruolo da rappresentante ufficiale del Mae Ossezia del sud?

Lavorare per l’Ossezia del sud in Italia, rappresenta, giorno dopo giorno, una sfida continua per l’affermazione di diritti elementari. Rappresentare questo Paese significa scontrarsi, ogni momento, contro il blocco, silenzioso ma forte, della burocrazia anti-osseta. Parlo della Farnesina, delle Prefetture, dei Consolati e, purtroppo, di tante forze politiche sorde ad ogni appello che lanciamo. Anche a sinistra, parlo della sinistra istituzionale, si fa molta fatica a poter parlare e far passare l’emergenza dei diritti. Paradossalmente, c’è un maggiore ascolto nel centrodestra che nel centrosinistra di governo. Abbiamo presentato richieste ufficiali al Mae, al ministro Gentiloni ma, mai una risposta, un invito per esporre le nostre ragioni.

Nelle ultime settimane siete stati ricevuti anche da Papa Francesco presso la Santa Sede. Avete chiesto al Pontefice di intervenire in ambito internazionale sulle vicende che caratterizzando l’Ossezia del Sud, ricordando anche la cristianità degli osseti del sud. Che risultati avete ottenuto da tale incontro?

Sì, abbiamo sperato nel Vaticano e in Papa Francesco che abbiamo avuto l’onore d’incontrare brevemente, il tempo di consegnare i nostri documenti sulle Repubbliche. Credo che il Papa conosca bene la situazione dell’Ossezia del sud e della Abkhazia. E’ vero, si tratta di Paesi profondamente cristiani, dove non esiste conflitto religioso e che guardano al Vaticano, a Papa Francesco con fiducia e pazienza. So che è difficile, ma basterebbe un suo segnale, un piccolo segno per portare alla attenzione del mondo l’ingiustizia del mancato riconoscimento internazionale. Abbiamo presentato una richiesta ufficiale alla Segreteria di Stato ed a Monsignor Gallagher, per un incontro rappresentativo della situazione delle Repubbliche ma, fino ad oggi, nessuna risposta.

Ti stai adoperando molto per far conoscere la storia, la cultura e le tradizioni dell’Ossezia del Sud in Italia. Ci illustri le iniziative che più hanno riscosso successo?

Gli ultimi anni, in particolare dal 2013 ad oggi, sono ricchi di iniziative a favore dell’Ossezia del Sud. Se si pensa che fino a 3 anni fa, su internet si trovavano solo info georgiane, o a favore degli stessi, oggi abbiamo ribaltato questo modo di fare. Su Ossezia del sud, ed anche Abkhazia si trovano una valanga di informazioni che spiegano la situazione delle Repubbliche. Decine di convegni internazionali con la presenza del Ministro degli esteri della Ossezia del sud in tante occasioni. Una rete capillare di rappresentanti regionali per l’Ossezia del Sud. Rapporti culturali e protocolli tra università italiane e delle Repubbliche, 13 città con protocolli di amicizia con città ossetine, tante delegazioni italiane nel Paese, mostre fotografiche per far conoscere il Paese e tante altre iniziative, stanno a dimostrare la profonda amicizia che si crea, quando la gente conosce, quando l’informazione la raggiunge. Si dimostra il vecchio detto del conoscere, ed io, insieme a tanti altri, come le formiche giorno dopo giorno stiamo sgretolando il muro della negazione dei diritti.

tratto da: (clicca qui)

La Grecia è stata usata, anche (non solo come la vittima sacrificale da esibire sulle piazze d’Europa, come l’avvertimento, come la gogna che attende tutti coloro che osassero ribellarsi in futuro), come una mazza ferrata per imporre la volontà dei banchieri tedeschi a tutti gli altri paesi.
Per la terza volta, nella sua storia moderna, la Germania mette a repentaglio la pace nel continente

 

di Giulietto Chiesa

Di fronte allo spettacolo di barbarie offerto dalla Germania nell’accanirsi contro Atene, nell’ambito della più grave crisi nella storia dell’Ue, anche Giulietto Chiesa – diffidente verso i No-Euro e a lungo incline a concepire una prospettiva politica di revisione democratica dell’Unione Europea – si arrende all’evidenza: Bruxelles non è solo una gang di tecnocrati prezzolati e “maggiordomi” dei poteri forti, messi lì per spremere paesi e popoli in nome del dominio del business finanziario. E’ anche una cosca spietata e sanguinaria, apertamente anti-europea, pronta a calpestare la stessa possibilità di sopravvivenza dei greci. «L’Unione Europea è un’associazione a delinquere», disse senza mezzi termini Marshall Auerback, economista del Levi Institute di New York, di fronte al “golpe dello spread” che a fine 2011 portò all’insediamento di Mario Monti in Italia, l’uomo scelto dalla finanza, con la collaborazione di Napolitano, per imporre il celebre diktat della Bce (Draghi e Trichet) con brutali “riforme” come quella della Fornero sulle pensioni. Nemmeno quattro anni dopo, l’aggravarsi della crisi europea – complicata dalle inaudite tensioni belliche con la Russia in Ucraina – sta determinando contraccolpi politici, psicologici, culturali: questa «non è più Europa», si sente ripetere da più parti.

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Wolfgang Schaeuble

 

In realtà, questa “non è mai stata Europa”, replicano i critici dell’europeismo franco-tedesco. Secondo Paolo Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio che illumina, con anni di anticipo rispetto alla catastrofe odierna, la genesi dell’euro come strumento di dominio dell’élite finanziaria a spese degli Stati e dei popoli) l’Unione Europea non è mai stata altro che questo: pura confisca di democrazia, senza contropartite di alcun genere. Confisca istituzionalizzata mediante organismi non elettivi, espressione diretta del “vero potere” neoliberista nemico del welfare e persino dello Stato di diritto. Un regime ideologico che in Europa si è alimentato anche con teorie risalenti all’800, l’economia neoclassica (pagare i lavoratori il meno possibile) e il tragico mercantilismo tedesco (la vocazione all’export, che comprime i salari e deprime la domanda interna). La fobia teutonica dell’inflazione, di hitleriana memoria, si è saldata con la demonizzazione del debito pubblico, che invece è il motore naturale dell’economia espansiva (se il debito è denominato in moneta nazionale). E’ semplicemente sconcertante, sostiene il politologo Aldo Giannuli, che la sinistra europea non si sia mai accorta del “mostro” cresciuto a Bruxelles; ovvio, quindi, che oggi non abbia proposte, perché qualsiasi vera alternativa democratica comporterebbe innanzitutto la denuncia dell’Ue e del suo braccio secolare, l’euro, come strumenti di pura dominazione antipopolare.
Peggio ancora: proprio la sinistra ufficiale – da Mitterrand in poi – ha conferito il massimo supporto al progetto europeista, ben sapendo che la “disciplina di bilancio” indotta fisiologicamente da una non-moneta come l’euro avrebbe causato tagli devastanti alla spesa sociale e abrogazione di diritti e conquiste storiche. Quello che accade oggi in Grecia, dunque, non è che una logica conseguenza, il modus operandi “naturale” di un impianto oligarchico di potere, che non guarda in faccia a nessuno. Proprio la ferocia dimostrata contro Atene, per giunta “colpevole” di aver osato sfidare il regime di Bruxelles con un referendum, finisce per scuotere anche chi aveva sperato in una residua quota di ragionevolezza, se non altro per evitare di consegnare il continente a una pericolosa deriva incarnata da populismi ultra-nazionalisti, spesso xenofobi e neofascisti. «Sono in molti a dire apertamente che ciò che si è consumato a Bruxelles il 13 luglio 2015 è stato un “colpo di Stato”», scrive Chiesa su “Sputnik News”. Un golpe, «realizzato con strumenti finanziari, con un ricatto dei forti contro i deboli, che implica e si regge su un atto di forza, su un’imposizione illegittima».

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Proteste ad Atene contro la Germania

 

Per il giornalista, autore del profetico libro-denuncia “La guerra infinita” che illustrò con anni di anticipo il piano egemonico dei neocon statunitensi e le “guerre americane” puntualmente condotte negli ultimi anni, la crisi fra Berlino e Atene «è l’inizio della fine dell’Europa come entità che si proponeva di essere unitaria e si rivela ora un’accozzaglia di egoismi, che non è nemmeno possibile definire “nazionali”, poiché sono stati dettati dalla frenesia del guadagno delle élites bancarie internazionali». Questa è ormai «un’Europa senza solidarietà e divisa, spaccata. Con la Germania (ma che dico?, con una parte della Germania; ma che dico?, con un partito tedesco – la Cdu-Csu – guidato da un ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che combatte contro la premier del suo partito Angela Merkel) che si trascina dietro sei Stati dell’est, tutti antieuropei in sostanza, e che pretende di fare la lezione a tutta la restante Europa, per costringerla ad accettare il modello tedesco». Giulietto Chiesa cita l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: la vera posta in gioco non è Atene ma Parigi, perché il piano degli oligarchi tedeschi consiste nel «mettere il timore di Dio nei francesi, costringendo la Grecia a uscire dall’euro».
Dunque, conclude Chiesa, «la Grecia è stata usata, anche (non solo come la vittima sacrificale da esibire sulle piazze d’Europa, come l’avvertimento, come la gogna che attende tutti coloro che osassero ribellarsi in futuro), come una mazza ferrata per imporre la volontà dei banchieri tedeschi a tutti gli altri paesi». Quella di Bruxelles, allora, è «un’Europa che si comporta come un branco di lupi». Sicché, «questa Europa finisce, insieme alla Grecia indipendente e sovrana». Una constatazione che «dovrebbe aprire una riflessione a tutte le forze europee, democratiche e che vogliono conservare le loro sovranità nazionali, sulla “questione tedesca”». Attenzione: «Per la terza volta, nella sua storia moderna, la Germania mette e repentaglio la pace nel continente. Un’Europa senza Germania è sempre stata impensabile. Ma una Germania che non è in grado di moderare la sua pulsione al dominio diventa il nemico di ogni idea europea comune».

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Tsipras e Juncker

 

Per quanto concerne la Grecia, la soluzione imposta a Tsipras, «mostruosa sotto ogni profilo», non è che «una tappa verso un disastro, non solo economico: è l’esistenza stessa della democrazia che è stata annientata», costringendo i greci ad accettare un piano economico peggiore di quello che, col referendum, avevano rifiutato. «Perfino la proprietà privata, dei singoli e dello Stato, è stata cancellata. Con totale impudenza, quella del vae victis – continua Giulietto Chiesa – la Germania ha preteso il controllo diretto di 50 miliardi di euro di proprietà greche attraverso il Kfw (Kreditanstalt Fur Wiederanfbau, Istituto di Credito per la Ricostruzione), che altro non è che una banca tedesca (80% dello Stato e 20% dei laender) e il cui presidente è Wolfgang Schäuble».
Peraltro, proprio la Kfw (la “Cdp” tedesca) è lo strumento col quale la Germania ha regolarmente aggirato le restrizioni sull’euro, acquisendo moneta praticamente a costo zero per finanziare il governo – la Kwf è giudiricamente privata, ma di fatto pubblica. Nessuno, però, si è mai permesso di far osservare ai tedeschi che stavano barando: hanno imposto il costo dell’euro a tutta l’Eurozona (moneta che ogni paese ottiene con l’emissione di titoli di Stato, attraverso il sistema bancario privato), mentre Berlino, sottobanco, ha trovato il modo di finanziarsi impunemente in modo assai più economico. Inutile, quindi, aspettarsi che simili “statisti” potessero fare la benché minima concessione sulla indispensabile ristrutturazione del debito greco, «che è un debito illegale e estorto con l’inganno e con la complicità dell’Europa e della Germania», ricorda Giulietto Chiesa. «Non c’è più nemmeno l’ombra dell’economia di mercato: questa è rapina e violenza allo stato brado».

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Nestor e Cristina Kirchner

 

Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, ha spesso tuonato contro i “maghi” dell’austerity europea, che impongono solo e sempre ricette disastrose. Sbagliano? No, purtroppo: retrocedere i popoli e i cittadini, ex consumatori ormai inutili, fa parte del piano. Diverranno sudditi, lavoratori-schiavi, senza più diritti sindacali e con salari da Bangladesh, alla periferia meridionale del Quarto Reich. Giulietto Chiesa cita ancora il greco Varoufakis, che bene esprime il panico di Syriza di fronte all’ipotesi Grexit: l’ex ministro, che oggi accusa Tsipras di non aver osato tener duro di fronte all’inaudito “waterboarding” cui è stato sottoposto a Bruxelles, sostenendo che si poteva reggere molto meglio il braccio di ferro e spuntare condizioni migliori per restare nell’Eurozona, cita l’Iraq (paese bombardato, invaso, raso al suolo) come esempio per spiegare le enormi difficoltà nel rimettere in piedi una moneta partendo da zero (missione impossibile, in quel caso, senza l’aiuto Usa). In più, lo stesso Varoufakis evita di citare – come invece fa Krugman – il caso eclatante dell’Argentina, la cui prodigiosa rinascita è iniziata proprio con l’abbandono del legame col dollaro (cambi bloccati, come nel caso dell’euro) tornando pienamente sovrana, “da zero”, dei propri pesos.

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Giulietto Chiesa

 

Se è quindi chiaro che nessun Varoufakis avrebbe mai potuto – con quelle argomentazioni – impensierire neppure lontanamente la Bce e la Commissione Europea (oltre a non aver messo a punto un vero piano-B, il governo di Syriza non ha nemmeno pensato a reclutare un adeguato team di economisti, per esempio quelli, americani e democratici, di cui si servì Nestor Kirchner per la rianimazione-record della sua Argentina), resta di fronte agli occhi di tutti lo spettacolo dell’orrore che Berlino e Bruxelles hanno esibito, a prescindere dall’impresentabilità di Syriza – spettacolo che non mancherà di suscitare ripercussioni drastiche. Scossoni forti, a partire dalla Francia di Marine Le Pen, l’unico leader europeo a chiedere a gran voce, e non da oggi, l’uscita di Parigi dall’Unione Europea. Una prospettiva che ormai sfiora l’Austria, presto alle prese con un referendum, e che nel 2017 chiamerà al voto anche la Gran Bretagna. L’incubo Grexit – espulsione disordinata, non preparata come invece nel caso argentino – comporterebbe «conseguenze sociali e politiche sconvolgenti: sicuramente provocazioni, disperazione, disordini, sangue», scrive Giulietto Chiesa. «Questa è l’Europa, oggi. Bisogna prepararsi a uscirne, per tempo».

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

Ieri, mentre ad Ajaccio il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve era in visita ufficiale in Corsica, l’FLNC richiamava in un comunicato – autenticato e diffuso a diversi media – “l’importanza capitale” della sua iniziativa del 25 giugno 2014, ovvero la deposizione delle armi. Al tempo stesso il Fronte deplora il comportamento dello Stato francese che persiste nel non prendere atto delle rivendicazioni legittime del popolo còrso, votate democraticamente nella sede dell’Assemblea territoriale.” Nel comunicato si evoca anche la richiesta di amnistia per i prigionieri politici.

Riportiamo di seguito la traduzione dal francese del testo diffuso dal movimento.

F. L. N. C.

Il 25 giugno 2014 la nostra organizzazione , dopo un lungo dibattito, si è presa le proprie responsabilità di fronte all’importanza della posta in gioco, l’avvenire del popolo còrso. Dando prova di una maturità politica esemplare, e prendendo in contropiede qualche bastian contrario, ha preso la decisione unilaterale e inequivocabile di iniziare un processo di portata storica, di smilitarizzazione e di uscita progressiva dalla clandestinità.
Fu una immensa soddisfazione vedere, soprattutto della gioventù còrsa, rispondere con grande interesse al nostro appello alla mobilitazione. Per noi è motivo di orgoglio vedere che coloro che rappresentano il futuro del nostro paese hanno compreso il nostro messaggio. Hanno preso il testimone, e anche se non dubitavamo del loro coraggio né della loro passione, hanno dimostrato le loro capacità e l’efficacia delle proprie azioni al di là delle nostre speranze. Hanno portato la lotta su posizioni avanzate, e ci hanno così confortato nelle nostre convinzioni già forti. Sono garanti preziosi della riuscita della nostra iniziativa.

E coloro che credono, per ignoranza o interesse, che torneremo indietro dalla strada della pace, si sbagliano di grosso. Hanno evidentemenre sottostimato la nostra capacità di analisi e la nostra energia. Finiranno per essere messi da parte dal popolo stesso. Becchini della pace e profittatori della guerra, in silenzio cercano di sabotare la riuscita della nostra iniziativa.
Lo Stato francese da parte sua continua a non prendere in considerazione le rivendicazioni legittime del popolo còrso, votate dall’assemblea territoriale e pertanto deliberate democraticamente. Pensa di poter ingannare a lungo i còrsi organizzando pseudo-riunioni ministeriali che non portano ad alcun atto politico significativo? Nel non voler rispondere alle legittime aspirazioni di un popolo, c’è una precisa volontà politica, oppure semplicemente un’assenza di politica?

Per ora lo Stato francese continua a portare avanti un’assidua politica repressiva e a fare della nostra isola un laboratorio in cui sperimentare pratiche poliziesche, che poco favoriscono l’instaurazione di un clima di pace. Non cederemo alle provocazione, nulla ci distoglierà dal perseguire l’obiettivo di portare avanti il processo che abbiamo iniziato.

Da parte nostra, la determinazione è intatta. Le nostre scelte di ieri sono le stesse di oggi.
Sappiamo che il cammino verso una soluzione politica sarà lungo e difficile, a tratti anche pericoloso, ma gli apprendisti stregoni non dubitino della nostra capacità di mantenere la rotta della pace verso una soluzione politica per la libertà del popolo còrso.

La garanzia della nostra volontà è data dal rispetto totale che abbiamo avuto di quanto deciso un anno fa, la nostra decisione di far tacere le armi. Ciascuno potrà giudicare, giorno dopo giorno, la forza e il carattere irreversibile della nostra scelta della pace per una soluzione politica stabile e negoziata per la Corsica. Anche se il tempo è prezioso.

Sosteniamo le iniziative prese dall’Assemblea di Corsica e garantiamo la nostra determinazione a operate definitivamente e stabilmente per la pace.

In questo senso salutiamo positivamente la richiesta d’amnistia per i prigionieri politici còrsi e della fine degli arresti per motivi politici. Questo tipo di iniziativa arriva a un certo punto nei conflitti armati, in tutto il mondo. Viene promossa da uomini di buona volontà. Non chiediamo niente per noi stessi, ma la legittimità di tale richiesta risulta evidente, ed esamineremo accuratamente la risposta che le sarà data. Verrà il momento in cui saranno giudicati i comportamenti tenuti dagli uni e dagli altri, e una volta di più sarà evidente l’importanza della nostra decisione, presa e portata avanti da oltre un anno.

Infine, per illuminare coloro che in Corsica, in Francia , in Europa o altrove, agitano su di noi la minaccia di obsoleto nazionalismo estremo e chiusura in sé; a questi mondialisti dilaganti, sudditi di un sistema affaristico commeciale, della forza del re denaro, della speculazione finanziaria e delle loro lobby; a quelli che vogliono sottomettere i popoli per farne consumatori docili: noi rispondiamo che essi sono gli eredi e i discepoli della colonizzazione. S’impadronirono delle terre dei popoli, esercitando un dominio feroce e arrogante il cui obiettivo era razziare le risorse naturale impoverendo taluni paesi per arricchirne altri, o impadronirsi di basi logistiche che assicurassero un vantaggio geopolitico, come fu per la Corsica, porta-aerei della Francia nel Mediterraneo. Ieri come oggi la finalità è la stessa: il proprio sviluppo e arricchimento a spese dei popoli, della loro cultura e della loro identità, accrescendo esponenzialmente le ineguaglianze nel mondo. E a chi considera che la nostra terra non ci appartenga, noi rispondiamo, citando un grande capo della resistenza dei nativi americani, che è il popolo còrso che appartiene a questa terra di Corsica.

Che questa invocazione a un popolo martirizzato e decimato non sia la vana speranza allo Stato francese di poter trasformare la Corsica in riserva indiana, una specie di parco divertimenti per turisti con desiderio di esotismo, a un’ora e mezza da Parigi. Perché il nostro popolo è in marcia, e intriso di spirito di resistenza.L’ha imparato dalla Storia, dalle avanzate come dalle ritirate, dai drammi come dalle gioia, dai momenti di sconforto e da quelli di entusiasmo. Il mondo è cambiato, e in questo mondo la Francia non ha più i mezzi per continuare a soffocare le rivendicazioni di emancipazione da parte dei popoli, né nascondendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ignorando semplicemente il problema còrso. Nella crisi di un sistema imperialista in declino, Paesi come la Francia, vecchie potenze coloniali e neocoloniali, non potranno resistere ancora a lungo al diritto dei popoli a disporre di loro stessi e del proprio destino. Ma invece di venire incontro alle reali richieste dei propri cittadini, spesso i politici si accontentano di piccoli accordi.

L’importanza capitale della nostra iniziativa del 25 giugno 2014 è stata sottolineata dalla quasi totalità degli attori coinvolti e informati della questione còrsa. Sono stati in grado di anticipare e analizzarela portata storica del nostro processo di pace. Ma tutti sappiamo che ciò non è sufficiente. In Corsica, lo Stato francese giustifica il proprio immobilismo endemico, pronto a brandire l’inflessibilità delle istituzioni di una Repubblica incisa nella pietra, che però risultava ben friabile quando si trattava di adattarsi a interessi “superiori” in un sistema di fatto a due velocità, con due pesi e due misure. Dovrebbe essere questo governo francese a tenderci la mano e a rispondere alle rivendicazioni democratiche del popolo còrso?

Diceva De Gaulle, primo presidente della V repubblica francese, che ciò che serve di più per la pace è la comprensione dei popoli, perché i regimi passano, ma i popoli no.

La lotta del nostro popolo non calerà d’intensità. Al contrario, essa continua in un quadro ormai pubblico, popolare e democratico. Restiamo fiduciosi e reiteriamo il nostro appello alla società còrsa perché essa continui a impegnarsi in questo processo, ad unirsi ad esso e a rinforzarlo.

À Populu Fattu Bisogn’à Marchjà

tratto da: (clicca qui)